In questo articolo esploreremo l'impatto di Dignità su diversi aspetti della società. Dalla sua influenza sulla cultura popolare alla sua rilevanza nella storia, Dignità ha lasciato un segno indelebile in vari ambiti della vita. Nel corso degli anni, Dignità è stato oggetto di dibattiti e analisi, generando ogni tipo di opinione e teoria. Attraverso questo studio, cerchiamo di far luce sull'importanza di Dignità e sul suo ruolo nel plasmare il mondo come lo conosciamo. Esplorando le sue implicazioni e conseguenze, speriamo di approfondire la complessità di Dignità e la sua influenza duratura.
La dignità è il diritto di una persona ad essere apprezzata e rispettata per sé stessa e ad essere trattata eticamente. Con il termine dignità ci si riferisce al valore intrinseco dell'esistenza umana che ogni uomo e ogni donna – in quanto persona – è consapevole di rappresentare nei propri principî morali, nella necessità di liberamente mantenerli per sé stesso e per gli altri e di tutelarli nei confronti di chi non li rispetta.
«La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli.»
Storicamente, il tema della dignità è stato approfondito dallo Stoicismo che, in virtù della partecipazione del logos umano a quello divino, affermava l'identità delle virtù negli uomini a prescindere dal ceto sociale e dal sesso di modo che ogni essere umano era libero di impegnarsi nella ricerca della saggezza che implicava l'indifferenza nei confronti del corpo e dei suoi dolori.
Il cristianesimo ha ripreso la concezione stoica della dignità umana sostenendo come ogni uomo sia un riflesso dell'immagine di Dio. La questione sulla dignità dell'uomo è stata poi approfondita durante il Rinascimento, quando la questione ha assunto caratteri polemici contro la dottrina della Chiesa, accusata di aver promosso la svalutazione del mondo terreno. Durante il Rinascimento l'uomo venne considerato un essere dalla natura indeterminata, in grado di compiere in assoluta autonomia le proprie scelte di vita.
La dignità nelle sue prime concezioni non aveva niente a che vedere con il significato odierno essendo al contrario collegata all'esercizio di una carica pubblica: un significato aristocratico, elitario questo che permane nel termine di "dignitario" e che si oppone al senso democratico che caratterizza oggi questo termine.
Così per Thomas Hobbes la dignità non è un valore intrinseco dell'uomo ma solo il «valore pubblico» dell'uomo che gli viene attribuito dallo Stato.
Così anche per Montesquieu la dignità denota la distinzione propria dell'aristocrazia e si oppone in questo senso all'uguaglianza. Émile Littré nel suo Dictionnaire de la langue française attribuisce come primo significato del termine "dignità" quello di «funzione eminente nello Stato o nella Chiesa» e solo come quarto significato quello di «rispetto che si deve a sé stessi».
Nella filosofia morale di Kant la dignità viene riconosciuta a ogni uomo in quanto essere razionale e perciò degno di essere considerato sempre come fine mai come mezzo:
L'uomo cioè deve avere la capacità di agire moralmente al di sopra delle determinazioni sensibili della sua volontà che deve essere libera dalle inclinazioni del desiderio e della carnalità. La dignità kantiana va oltre il rispetto della vita in quanto vita sensibile e sofferente: essa è al contrario rispetto della libertà umana, dell'uomo in quanto essere sovrasensibile.
Dignità e umanità sono diventati, nell'evoluzione del pensiero, termini sovrapponibili, collegati alla libertà dell'individuo di potersi esprimere senza vincoli di sorta.
«Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;»
La dignità è quindi un concetto che rinvia all'idea che «quelque chose est dû à l'être humain du fait qu'il est humain» (essa sia qualcosa che è dovuta all'essere umano per il semplice fatto che egli è umano): calata in ambito giuridico, tale concezione è stata declinata da Hannah Arendt come il "diritto ad avere diritti".
Tutti gli uomini, senza distinzioni di età, stato di salute, sesso, etnia, religione, grado d'istruzione, nazionalità, cultura, impiego, opinione politica, condizione sociale, orientamento sessuale o identità di genere meritano un rispetto incondizionato, sul quale nessuna "ragion di Stato", nessun "interesse superiore", la "Razza", o la "Società", può imporsi.
«Se la persona non può essere separata dalla sua dignità neppure il diritto può prescinderne o abbandonarla.»
Secondo papa Bergoglio, ogni uomo è un fine in sé stesso, possiede un valore non relativo all'oggetto che produce (com'è, per esempio, il prezzo di un oggetto), ma intrinseco al modo di produrlo con il lavoro con il quale si realizza:
«Le persone sono meno importanti delle cose che danno profitto a quelli che hanno il potere politico, sociale, economico. A che punto siamo arrivati? Al punto che non siamo consci di questa dignità della persona; questa dignità del lavoro... Dove non c’è lavoro manca la dignità.»
Ugualmente si riconosce dignità alle alte cariche dello Stato, politiche od ecclesiastiche quando chi le ricopre agisca per il rispetto della dignità umana.
L'Organizzazione mondiale della sanità estende in particolare la considerazione della dignità a quelle parti della popolazione quali gli anziani, affermando il diritto degli individui ad essere trattati con rispetto al di là dell'età o di eventuali condizioni di disabilità. Nel quadro del superamento di una concezione solo formale del paradigma antidiscriminatorio, poi, il riferimento alla dignità umana compare nelle più recenti sentenze delle Corti costituzionali di affermazione dei diritti umani: "la rimozione di un ostacolo al libero svolgimento della personalità (il “full blossoming” dell’individuo come “very essence of dignity”, par. 132 op. CJ)" costituisce, per la Corte Suprema indiana, "la garanzia dell’effettività della dignità attraverso la liberazione di capacità".
«Le cose potranno sensibilmente cambiare soltanto quando (…) si comprenderà che – senza retorica – togliere la dignità e la speranza ad un proprio simile significa toglierle a sé stessi»
Nell'opera di Marco Ruotolo viene contestata la concezione unitaria della dignità e si introduce la distinzione tra “dignità statica” e “dignità dinamica” intendendo per la prima una specie di acquisizione innata della dignità per il semplice fatto di esistere indipendentemente dal bene e dal male che l'individuo mette in atto. La dignità dinamica invece sarebbe il risultato delle azioni individuali tali che fanno perdere quella dignità che in seguito può essere riacquistata.
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