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La secchia rapita | |
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Antiporta dell'edizione di Ronciglione del poema (1624) | |
Autore | Alessandro Tassoni |
1ª ed. originale | 1622 |
Genere | poema |
Lingua originale | italiano |
La secchia rapita è un poema in ottave di argomento eroicomico, scritto da Alessandro Tassoni.
Una prima stesura è del 1614, ma venne pubblicato a Parigi solo nel 1622. Superati i controlli della Congregazione dell'Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica, con un testo emendato in pochissimi punti dallo stesso Urbano VIII Barberini, Tassoni fece stampare nel 1624 la prima edizione a proprio nome dell'opera (precedentemente pubblicata sotto lo pseudonimo di Aldrovinci Melisone). Sembra che la versione definitiva fu stampata a Venezia nel 1630.
«Vorrei cantar quel memorando sdegno
ch’infiammò già ne’ fieri petti umani
un’infelice e vil Secchia di legno
che tolsero a i Petroni i Gemignani.
Ma la Secchia fu subito serrata
ne la torre maggior dove ancor stassi,
in alto per trofeo posta e legata
con una gran catena a’ curvi sassi;
s’entra per cinque porte ov’è guardata
e non è cavalier che di là passi
né pellegrin di conto, il qual non voglia
veder sì degna e glorïosa spoglia.»
Il poema narra la storia del conflitto tra Bologna e Modena al tempo dell'imperatore Federico II. Durante la battaglia di Zappolino, i bolognesi, dopo un'incursione nel territorio di Modena, furono respinti e inseguiti fino alla loro città; i modenesi si fermarono a un pozzo a dissetarsi e portarono via come trofeo di guerra una secchia di legno.
Al rifiuto dei modenesi di riconsegnare la secchia, i bolognesi dichiarano loro guerra. Ad essa partecipano, distribuiti tra le due parti, gli dei dell'Olimpo: Apollo e Minerva si schierano a fianco di Bologna, mentre Marte, Venere e Bacco con Modena. Anche re Enzo, figlio dell'imperatore Federico II, parteggia per loro. Un elemento nuovo introdotto dal Tassoni è l'entrata in campo di un esercito di donne, guidato da Renoppia.
La guerra per la secchia rapita si protrae per qualche tempo fra battaglie, duelli, tregue e tornei, intercalati da episodi comici e burleschi che hanno spesso come protagonista il conte di Culagna. Innamoratosi di Renoppia, sfida a duello il prode Melindo e lo vince, secondo quanto predetto dalla profezia che aggiudica la vittoria al più debole e vile; e tenta di avvelenare la moglie, ma beve la pozione per errore ed è costretto a confessare la malefatta. Alla fine il conflitto si conclude grazie a trattative condotte da un legato pontificio, che stabiliscono le seguenti condizioni: i bolognesi possono tenersi re Enzo, fatto prigioniero durante la battaglia di Fossalta; i modenesi, la secchia.
L'immaginario conte di Culagna è forse il personaggio più noto dell'opera e ne rappresenta bene lo spirito volto, per esplicita ammissione del Tassoni, al puro intrattenimento del lettore. Ecco come viene presentato:
«Chi dal monte il dì sesto, e chi dal piano
dispiegò le bandiere in un istante;
e 'l primo ch'apparisse a la campagna
fu il conte de la Rocca di Culagna.
Quest'era un cavalier bravo e galante,
filosofo poeta e bacchettone
ch'era fuor de' perigli un Sacripante,
ma ne' perigli un pezzo di polmone.
Spesso ammazzato avea qualche gigante,
e si scopriva poi ch'era un cappone,
onde i fanciulli dietro di lontano
gli soleano gridar: - Viva Martano -.
Avea ducento scrocchi in una schiera,
mangiati da la fame e pidocchiosi;
ma egli dicea ch'eran duo mila e ch'era
una falange d'uomini famosi:
dipinto avea un pavon ne la bandiera
con ricami di seta e d'or pomposi:
l'armatura d'argento e molto adorna;
e in testa un gran cimier di piume e corna.»
L'uomo si innamora di Renoppia e per farlo pensa di uccidere la moglie. Rivela il piano al compagno romano Titta, che di rimando lo adula:
«"Conte, tu se' 'nu Papa, e tt' ajo detto
che nun c'è chi te pozza stare a petto"»
Il conte fanfarone ignora che Titta è l'amante della moglie del nobile: il cavaliere di nascosto mette la donna al corrente del piano mentre il conte va a procurarsi il veleno. Ritornato a pranzo, il conte di nascosto avvelena il piatto della moglie spacciandolo per pepe, quando però egli si volta la contessa scambia i piatti; sarà il marito a subire l'effetto del composto, che peraltro non è veleno ma un purgante ed emetico la cui azione causerà all'uomo una pessima figura in piazza.
A causa delle difficoltà ad ottenere l’imprimatur dalle autorità ecclesiastiche, condizione obbligatoria per vedere il testo stampato e diffuso, Tassoni consentì la riproduzione manoscritta dell’opera nel 1616. Essa ebbe grande successo circolando in centinaia di esemplari nelle corti di tutta l'Italia, fino a quando non apparve l'edizione a stampa a Parigi nel 1622.
Fondandosi sul poema del Tassoni, il librettista Gastone Boccherini scrisse un omonimo dramma eroicomico per musica, il quale fu musicato da Antonio Salieri e rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1772. Altre composizioni musicali si devono a Nicola Antonio Zingarelli nel 1793, a Francesco Bianchi nel 1794 (ambedue con libretto riveduto da Angelo Anelli), al sig. Sellerié nel 1836 e a Giulio Ricordi nel 1910 (revisione del libretto da parte di Renato Simoni).
Controllo di autorità | VIAF (EN) 209888768 · LCCN (EN) n2014051472 · GND (DE) 4336474-3 · BNF (FR) cb121390561 (data) · J9U (EN, HE) 987007320808105171 |
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