In questo articolo approfondiremo l'affascinante mondo di Supino. Nel corso della storia, Supino ha svolto un ruolo significativo in vari ambiti, dalla scienza alla cultura popolare. Il suo impatto è stato così profondo che continua a suscitare interesse e dibattito ancora oggi. Ne esploreremo l'origine, l'evoluzione e la rilevanza nella società contemporanea, con l'obiettivo di farne luce sull'importanza e sul significato. Attraverso un'analisi dettagliata e rigorosa, speriamo di fornire una visione completa e arricchente di Supino, consentendo ai nostri lettori di espandere la loro conoscenza e comprensione di questo affascinante argomento.
In grammatica latina, il supino è un nome verbale appartenente alla quarta declinazione, di cui sono rimasti in vigore solamente due casi: l'accusativo (auditum) in -um e l'ablativo in -ū (auditu); le forme hanno un uso piuttosto raro e limitato e possono essere sostituite da altre costruzioni. In italiano, il supino non è presente.
Il supino in -um, tradizionalmente detto supino attivo, è un antico accusativo che indica un complemento di moto a luogo o direzione verso un luogo; viene utilizzato perlopiù in presenza di verbi di movimento (come abire, ire, mittere, venire) per indicare il termine o la fine di un movimento. Generalmente esprime una proposizione finale, ha quindi un valore di fine.
«Cubitum discessimus.» |
«Ci ritirammo a dormire.» |
«Legati venerunt questum iniurias.» |
«Gli ambasciatori vennero a lamentarsi delle ingiurie.» |
«Spero oppidum captum iri.» |
«Spero che la città sia presa.» |
Nota: letteralmente la frase andrebbe così tradotta: Spero andarsi a prendere la città.
«Has litteras tibi redditum iri putabam.» |
«Pensavo che ti sarebbe stata consegnata questa lettera.» |
Nota: letteralmente la frase andrebbe così tradotta: Pensavo che si sarebbe andato a consegnarti questa lettera.
Il supino in -ū, detto più comunemente supino passivo, viene usato per esprimere un ablativo di limitazione (in italiano, un complemento di limitazione), preceduto da aggettivi che indicano qualità, come acerbus, arduus, asper, dulcis, facilis, difficilis, gravis, horribilis, iucundus, mirabilis, optimus, e in presenza di locuzioni come nefas est, opus est o fas est. Soltanto pochi verbi transitivi hanno il supino in -ū, le forme maggiormente usate sono dictu, factu, memoratu, visu. In italiano, di norma, il supino passivo viene reso attraverso le preposizioni di, da, a con l'infinito passivo (ma se la frase non ha senso, o ha senso "in parte", viene reso anche con l'infinito attivo).
«O rem non modo visu foedam, sed etiam auditu.» |
«Che cosa vergognosa, non solo a vedersi ma pure a sentirsi.» |
«Sic opus est dictu.» |
«Bisogna dire così.» |