In questo articolo parleremo di Tecniche di neutralizzazione, un argomento che ha suscitato grande interesse oggi. Da diverse prospettive, Tecniche di neutralizzazione è diventato un punto focale per discussioni, dibattiti e riflessioni. La sua rilevanza ha trasceso diversi ambiti, generando un impatto sulla società, sulla cultura e sulla politica. Tecniche di neutralizzazione ha catturato l'attenzione di esperti, ricercatori, accademici e professionisti, che hanno dedicato tempo e sforzi per comprenderne l'importanza e l'impatto. Attraverso questo articolo cercheremo di approfondire i diversi aspetti che circondano Tecniche di neutralizzazione, fornendo un'analisi dettagliata che consenta ai nostri lettori di comprenderne la complessità e il significato.
Le tecniche di neutralizzazione - nel lessico della criminologia, della psicologia e delle scienze sociali - sono un insieme di strategie cognitive, di tipo passivo, adottate da chi ha compiuto azioni criminali o, più in generale, devianti, per fronteggiare le conseguenze psicologiche derivanti dall'aver avuto una condotta criminale o, nei casi più blandi, un comportamento trasgressivo di norme sociali o legali.
L'espressione è stata coniata negli anni cinquanta da David Matza e Gresham Sykes, in un saggio dal titolo A Theory of Delinquency, (1957), con un'analisi che prendeva le mosse dal sistema subculturale dei valori del mondo della devianza giovanile, ma che veniva riconosciuta come paradigmatica dell'intero sistema della cultura dominante. La loro "concettualizzazione del mondo deviante è riassunta nel concetto di "deriva", che implica la convergenza fra la cultura del delinquente e quella dell'onesto".
La stessa espressione, sempre in ambiti criminologici e sociologici, è utilizzata anche in riferimento ai comportamenti cognitivi passivi praticati dalle vittime del crimine, piuttosto che dai suoi protagonisti: in questo caso è la reazione della vittima che esegue strategie neutralizzanti per affievolire il disagio derivante dalla propria condizione. Si parla, in questi casi, di neutralizzazione della vittimizzazione, ovvero devittimizzazione.
Il disagio psicologico che è all'origine di tali strategie nasce dall'attrito con un sistema di valori: la reazione di "neutralizzazione" non produce né presuppone un sovvertimento dei valori comunemente accettati ma anzi, in maniera solo apparentemente paradossale, implica di fatto un'accettazione del sistema di valori condivisi. La «neutralizzazione» si assume quindi il compito di risolvere le dissonanze cognitive, superando ("neutralizzando") i sensi di colpa e di vergogna, e il conflitto con la morale sociale, in modo da salvaguardare proprio l'adesione al sottostante sistema di valori comuni, altrimenti messa a repentaglio dal gesto scatenante. In questo modo, la commissione di un reato diventa un fatto episodico, di breve durata, a cui fa seguito un riposizionamento a mezzo strategie neutralizzanti, con riconferma dell'obbedienza all'ordine sociale. Questo permette al soggetto di deviare dall'ordine vigente nella cultura dominante, senza abbandonarla e senza esserne espulso.
Non solo il criminale occasionale, ma anche il delinquente più efferato può sperare di trovare perpetuo rifugio nell'ambiente protettivo del gruppo sociale, che può essere, ad esempio, il sodalizio criminale di cui egli fa parte. In molti casi sono la stessa famiglia, o la cerchia amicale, a manifestare una dimensione a-morale in grado di giustificare ogni trasgressione di un proprio membro.
In nessun caso, tuttavia, il trasgressore o l'autore criminale può immaginare di evitare le conseguenze dei propri comportamenti vivendo esclusivamente all'interno di simili ambienti protetti, idonei a sostenere e approvare moralmente le sue azioni: non può, infatti, impedire a sé stesso di entrare in contatto, e quindi in attrito, con la realtà normativa statale e sociale, in grado di generare in lui sensazioni di rimorso psicologico. La neutralizzazione risponde proprio a questo inevitabile attrito.
Va precisato che il ricorso a tecniche di neutralizzazione non implica l'affermazione di un sistema diverso di valori morali, ma, al contrario, manifesta, paradossalmente, una forma di adesione al sistema di valori ai quali si è trasgredito. Proprio la necessità di produrre una giustificazione dei propri comportamenti trasgressivi, di fronte a sé, al prossimo, o ai membri del proprio entourage sociale, porta con sé il riconoscimento implicito di un tale sistema di valori.
La reazione al disagio legato a condotte trasgressive consiste, appunto, nell'elaborazione di personali tecniche di neutralizzazione, in grado di attenuare o addirittura risolvere il conflitto con le regole morali e con la morale sociale. Tutte tendono a escludere o attenuare la responsabilità individuale del proprio operato, negandone l'illiceità attraverso una ridefinizione del senso del proprio agire.
Tali tecniche, ben conosciute ai criminologi, rientrano in un preciso novero di tipologie. Le tecniche cambiano a seconda dello status di chi le adotta, sia esso soggetto passivo (vittima) o attivo (criminale).
L'intensità di tali reazioni psicologiche può variare sensibilmente in funzione di circostanze soggettive (caratteristiche personali del criminale o della vittima) oppure oggettive, come l'intensità del crimine in discussione, l'appoggio e il sostegno garantito dalla famiglia, dall'entourage, dalla società, etc.
Si parla di tecniche di neutralizzazione anche con riferimento all'atteggiamento con cui il destinatario della devianza affronta la "vittimizzazione", cercando di sfuggire alla propria condizione di vittima. Esempi di questo atteggiamento sono:
Le stesse tecniche funzionano anche in contesti in cui la trasgressione non raggiunge livelli estremi di efferatezza criminale, o perlomeno non viene percepita come tale.
Un esempio di neutralizzazione, in contesti percepiti come di non alta intensità criminosa, è il caso della trasgressione della normativa fiscale: l'evasione fiscale, infatti, trova spesso una giustificazione morale, condivisa e latente nella società, fondata su alcune caratteristiche odiose (reali o presunte), come esosità, vessatorietà e inefficienza dello Stato esattore.
Allo stesso modo, le diffuse frodi ai danni delle assicurazioni possono essere giustificate facendo leva, in generale, su comportamenti delle compagnie (ritenuti scorretti o vessatori) o sugli alti profitti di cui esse avrebbero l'appannaggio.
La corruzione, in alcuni casi, può elevarsi a sistema. Si parla allora di corruzione ambientale, ovvero di quella situazione in cui il fenomeno sociale e criminoso della corruzione raggiunge un così vasta disseminazione, e un così alto livello di integrazione, nella sfera politica, amministrativa ed economica in un determinato contesto nazionale o regionale, da costituirne un elemento funzionale, tanto da indurre le persone implicate (e, in alcuni casi, anche chi ne è semplicemente spettatore, o vittima) a convincersi che determinati comportamenti, quali la prestazione dell'indebito, altrimenti illeciti, facciano parte di una prassi consolidata, utilizzata da tutti, diffusa a tal punto da riuscire a neutralizzarne i risvolti criminosi, facendola apparire, se non proprio lecita, almeno "normale".
Quando si agisce all'interno di un sistema di corruzione ambientale, la percezione della criminosità della trasgressione è attenuata: il costante ricorso a tecniche di neutralizzazione si traduce nell'auto-assoluzioni delle proprie condotte illecite. Questo atteggiamento continua a manifestarsi anche nel caso in cui il trasgressore incappi nelle maglie della legge: in tali circostanze, una strategia di difesa personale (o di giustificazione da parte di terzi) può consistere nell'affermazione della corruzione come un sistema diffuso, conosciuto e accettato (un esempio di tali atteggiamenti si è avuto in occasione dello svelamento di quel sistema pervasivo di corruzione definito come Tangentopoli ad opera dell'indagine "Mani pulite": in quell'occasione, il principio di neutralizzazione, nei confronti della norma giuridica, fu espresso in maniera esplicita da Bettino Craxi in un celebre discorso parlamentare del 3 luglio 1992: in tal caso, la tecnica consisteva in una chiamata generale di correità, il "così fan tutti").
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