L'argomento Parmenide ha catturato l'attenzione di molte persone negli ultimi anni. Che sia per la sua rilevanza nella società odierna, per il suo impatto sulla vita quotidiana delle persone o per la sua importanza nel contesto storico, Parmenide è un argomento che non lascia nessuno indifferente. In questo articolo esploreremo diversi aspetti e prospettive legati a Parmenide, con l’obiettivo di fornire una visione ampia e completa su questo argomento. Dalle sue origini alla sua evoluzione nel tempo, comprese le sue implicazioni in diversi ambiti, questo articolo si propone di offrire uno sguardo approfondito e conciso su Parmenide.
Parmènide di Elea (in greco antico: Παρμενίδης?, Parmenídēs; Elea, 515 a.C./510 a.C., 544 a.C./541 a.C. – 450 a.C.) è stato un filosofo greco antico, autore del poema Sulla natura.
Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. Fu il filosofo dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire di Eraclito, secondo cui viceversa «tutto cambia».
Gli si deve la nascita della scuola eleatica, cui appartenevano anche Zenone di Elea e Melisso di Samo. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo, e della fisica moderna.
Parmenide nacque in Magna Grecia, a Elea (Velia in epoca romana, oggi Ascea in Campania), da una famiglia aristocratica. Della sua vita si hanno poche notizie.
Secondo Speusippo, nipote di Platone, sarebbe stato chiamato dai suoi concittadini a redigere le leggi della sua città. Secondo Sozione fu discepolo del pitagorico Aminia, per altri fu probabilmente discepolo di Senofane di Colofone.
A Elea fondò inoltre una scuola, insieme al suo discepolo prediletto Zenone. Platone nel Parmenide riferisce di un viaggio che negli anni della vecchiaia Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conobbe Socrate da giovane, con cui ebbe una vivace discussione.
L'unica opera di Parmenide è il poema in esametri intitolato Sulla natura, di cui alcune parti sono citate da Simplicio in De coelo e nei suoi commenti alla Fisica aristotelica, da Sesto Empirico e da altri scrittori antichi. Di tale poema ci sono giunti a oggi diciannove frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che comprendono un Proemio e una trattazione in due parti: La via della Verità e La via dell'Opinione; di quest'ultima abbiamo solo pochi versi.
«Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας,
αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι·
ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι,
Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ - ,
ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι,
τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν·
οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν -
οὔτε φράσαις.
... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι.»
«… Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso,
quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare:
l'una che "è" e che non è possibile che non sia,
e questo è il sentiero della Persuasione (infatti segue la Verità);
l'altra che "non è" e che è necessario che non sia,
e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile:
infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile),
né potresti esprimerlo.
… Infatti lo stesso è pensare ed essere.»
Nel Poema sulla natura Parmenide sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo fisico sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'Essere: immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo e immobile.
La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del filosofo che racconta il suo viaggio immaginario verso la dimora della dea Dike (dea della Giustizia) la quale lo condurrà al «cuore inconcusso della ben rotonda verità». La splendida donna, in quanto tutrice dell'ordine cosmico, sarebbe vista in tal senso anche come garante dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea mostra al filosofo la via dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità che conduce alla sapienza e all'Essere (τὸ εἶναι, tò èinai).
Pur non specificando cosa sia questo essere, Parmenide è il filosofo che per primo ne mette a tema esplicitamente il concetto; su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica testimonianza in materia, secondo la quale «l'essere è, e non può non essere», «il non-essere non è, e non può essere»:
«ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
…
ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι»
«è, e non è possibile che non sia
…
non è, ed è necessario che non sia»
Con queste parole Parmenide intende affermare che niente si crea dal niente (ex nihilo nihil fit), e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i primi filosofi greci avevano cercato l'origine (o ἀρχή, archè) della mutevolezza dei fenomeni in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura, tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, secondo Parmenide non hanno semplicemente motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni Parmenide giunge promuovendo per la prima volta un pensiero basato non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale, servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si traggono le seguenti conclusioni:
L'Essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη, anànche), che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo: «la dominatrice Necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto intorno; perché bisogna che l'essere non sia incompiuto».
Parmenide paragona l'Essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio e nel tempo, chiusa e finita (per gli antichi greci il finito era sinonimo di perfezione). La sfera è infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è uguale dovunque la si guardi; l'ipotesi collima suggestivamente con la teoria della relatività di Albert Einstein che nel 1900 dirà: «Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito» in tutte le direzioni dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera (per lo scienziato infatti l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su se stesso).
Fuori dell'Essere non può esistere nulla, perché il non-essere, secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai sensi, secondo cui gli enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione (che appare ma in realtà non è). La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma nasce dalla ragione. «Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia stato negli erranti sensi» è la frase che d'ora in poi sarà attribuita a Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'Essere: «ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere… non troverai il pensare», a indicare come l'Essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato. Tale identità immediata di essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero, accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo.
Una volta stabilito che l'Essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse l'errore dei sensi, dato che nell'Essere non ci sono imperfezioni, e perché gli uomini tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere. Parmenide si limita ad affermare che gli uomini si lasciano guidare dall'opinione (δόξα, doxa), anziché dalla verità, ossia giudicano la realtà in base all'apparenza, secondo procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una semplice illusione, e dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una ragione. Compito del filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità dell'Essere nascosta sotto la superficie degli inganni. Il tema sarà ripreso da Platone che cercherà una soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice; per sciogliere il dramma umano costituito dal senso greco del divenire (per cui tutto muta) che si scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale della grecità, che è portata a negarlo, Platone concepirà il non-essere non più alla maniera di Parmenide staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso dall'essere in senso relativo, nel tentativo di dare una spiegazione razionale anche al tempo e al molteplice.
Il rigore logico di Parmenide gli valse inoltre l'appellativo di "venerando e terribile" da parte di Platone. La fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e viceversa la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza empirica, fa di lui un filosofo profondamente razionalista.
Parmenide fu il fondatore della scuola di Elea, dove ebbe vari discepoli, il più importante dei quali fu Zenone. Il metodo usato dagli eleati era la dimostrazione per assurdo, con cui confutavano le tesi degli avversari giungendo a dimostrare la verità dell'Essere, nonché la falsità del divenire e delle impressioni dei sensi, per una "impossibilità logica di pensare altrimenti".
Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in seguito da Aristotele come evidenza prima e indimostrabile alla ragione senza la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza necessaria-filosofica, restando solo il mondo dell'opinione.
Parmenide e gli eleati si contrapponevano soprattutto al pensiero di Eraclito, loro contemporaneo, filosofo del divenire che basava la conoscenza interamente sui sensi. Nella prospettiva della storia della filosofia, sarà quindi Hegel a concepire l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide.
Anche l'atomismo democriteo intese contrapporsi alla teoria eleatica dell'Essere (che aveva cercato una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento originario al divenire), presupponendo gli atomi e uno spazio vuoto, diverso dagli atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in un certo senso una convivenza di essere e non-essere.
In seguito furono i sofisti a cercare di confutare il pensiero degli eleati, opponendo al loro sapere certo e indubitabile (επιστήμη, epistéme) sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di Gorgia. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava in particolare l'impossibilità di oggettivare l'Essere, di darne un predicato, di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'aveva enunciato, e che sembrava contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. Fu seguendo questa strada che Platone, nel tentativo di risolvere il problema, approderà al mondo delle idee.
Giovanni Reale ha elencato le diverse interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa, che Reale appoggia, secondo cui l'opinione (δόξα, doxa) non è da intendersi in Parmenide come negazione assoluta della verità, ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si tratterebbe cioè di puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori, ma di una terza possibilità in cui i fenomeni (δοκοῦντα, dokùnta) sarebbero entità pensabili e quindi plausibili, se non altro come manifestazioni esteriori del fondamento occulto e autentico dell'Essere. Nelle parole della Dea, infatti, Parmenide è chiamato a conoscere anche «le opinioni dei mortali, in cui non è certezza verace; eppure anche questo imparerai: come l'esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga».
Si tratta di un'interpretazione condivisa in varia misura anche da Hans Schwabl, Mario Untersteiner, Giorgio Colli, Luigi Ruggiu, sebbene respinta da altri, che farebbe di Parmenide un anticipatore della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli avrebbero invece mantenuto una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente attribuita agli eleati.
Tra le filosofie volte al recupero del pensiero classico in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi di Martin Heidegger e di Gustavo Bontadini, l'opera di Emanuele Severino si segnala come una parziale ripresa della dottrina di Parmenide, e viene perciò definita «neoparmenidismo». In particolare nel suo scritto Ritornare a Parmenide, Severino intende proporre un'originale reinterpretazione delle categorie fondamentali del pensiero moderno alla luce della rigorosa logica dell'Eleate.
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