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Genio militare | |
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Il genio militare romano rappresentato sulla Colonna traiana agli inizi del II secolo. | |
Descrizione generale | |
Attiva | VI secolo a.C. - 476 |
Nazione | Repubblica romana e Impero romano |
Servizio | Esercito romano |
Tipo | Genio militare |
Patrono | Marte dio della guerra |
Parte di | |
Legione romana | |
Comandanti | |
Comandante attuale | Praefectus fabrum |
Voci su unità militari presenti su Wikipedia |
Il Genio militare in epoca romana, fu un corpo formato da ingegneri, architetti, geometri, falegnami, fabbri (sotto il comando nelle singole legioni di un Praefectus fabrum, almeno fino al II secolo a.C.), la cui funzione era di dare un supporto tecnico alle armate repubblicane e imperiali romane, nel dirigere i lavori durante la costruzione di opere di ingegneria militare. I semplici soldati costituivano invece la manovalanza necessaria per la realizzazione delle costruzioni.
Il compito principale del genio era, pertanto, quello di fornire un adeguato supporto tecnico alle unità combattenti negli spostamenti (con la costruzione dell'accampamento di marcia, di ponti militari, strade, ecc.), nelle operazioni d'assedio di città nemiche (con la realizzazione di macchine d'assedio, rampe e terrapieni, cordoni di mura intorno alle città assediate, ecc.), nella realizzazione di opere a protezione dei confini provinciali (es. vallo di Adriano, limes germanico-retico, castra stativa, ecc.), fino alla costruzione di opere civili in tempo di pace (come le mura a protezione di importanti colonie in nodi strategici "chiave", ad esempio Ulpia Traiana Sarmizegetusa o Aosta; acquedotti, anfiteatri, ponti in muratura, ecc.).
Fin dall'antichità gli ingegneri militari erano responsabili degli assedi e della costruzione di fortificazioni, di campi e strade. I più famosi ingegneri dell'antichità furono i Romani, che oltre alla costruzione di macchine da assedio (catapulte, arieti, torri da assedio, ecc.) avevano anche il compito di realizzare accampamenti fortificati da marcia (castra aestiva) e permanenti (castra hiberna) oltre a strade, ponti (come ad esempio il ponte di Cesare sul Reno o quello di Traiano sul Danubio) per permettere migliori movimenti alle loro legioni. Alcune di queste strade sono ancora in uso duemila anni dopo.
Ora se molte di queste attività avrebbero potuto essere affidate a dei civili, vi è da dire che l'esercito romano era una macchina da guerra perfetta che necessitava, però, una propria autonomia, tanto che il servizio del genio, arrivò a controllare direttamente una propria industria. Tutto nacque ovviamente con la prima necessità di realizzare un accampamento sicuro e ben protetto per la notte, al termine di una dura giornata di marcia e a volte anche di guerra.
La prima funzione affidata al genio, fin dai tempi della Repubblica, fu di realizzare al termine di una dura giornata di marcia e di combattimenti un accampamento ben organizzato e che offrisse sufficiente protezione per la notte seguente. L'organizzazione della costruzione dell'accampamento era affidata al praefectus fabrum e ad un gruppo di genieri (i cosiddetti architecti), i quali avevano il privilegio, considerata la loro capacità tecnica, di essere esonerati da quelle funzioni che spettavano invece al normale legionario, e definiti pertanto immunes. Questi ingegneri utilizzavano, a loro volta, il lavoro manuale dei normali soldati semplici per la costruzione di quanto da loro progettato. Il metator, che precedeva l'esercito in marcia, aveva il compito di trovare il sito adeguato dove porre il castrum. A questo subentrava poi il librator, che aveva il compito di assicurare l'orizzontalità del campo (in seguito ebbe anche compiti collegati all'artiglieria ed alla realizzazione di canali). Il mensor aveva il compito di sistemare le tende delimitando la superficie dell'intera legione (in seguito, anche la riparazione delle macchine da guerra).
Ricordiamo che l'accampamento da marcia doveva essere protetto tutto intorno da una fossa, un agger ed un vallum. Una legione era in grado di costruire un accampamento, anche sotto attacco nemico, in appena un paio d'ore. Fu solo sotto Augusto che le legioni romane furono acquartierate in campi permanenti (castra hiberna) al termine delle loro campagne militari estive (vedi sotto).
Quando gli eserciti romani invadevano i territori nemici, si rendeva necessaria la costruzione di strade facili da percorrere. È evidente che in questa prima fase, dove la velocità spesso era determinante durante una campagna militare, i percorsi non fossero ancora lastricati. I legionari, su indicazione del genio si limitavano ad abbattere alberi, ad eliminare massi ingombranti (per meglio permettere ai carriaggi di passare), a costruire nella roccia lungo i fianchi delle montagne (come al tempo della conquista della Dacia, oggi ancora visibile con la tabula Traiana), a prosciugare piccole paludi o acquitrini. Spesso capitava che, una volta occupati quei nuovi paesi in modo stabile e permanente, seguisse una fase di civilizzazione con la costruzione di grandi arterie viarie per permettere di meglio difendere e approvvigionare gli eserciti che vi soggiornavano. Poteva, altresì, capitare di costruire interi tratti stradali attraverso territori paludosi come avvenne durante l'occupazione romana della Germania Magna durante il principato di Augusto, sotto il proconsole Lucio Domizio Enobarbo (i cosiddetti pontes longi).
Le strade militari erano, infine, utilizzate dalla popolazione civile ora che l'area era pacificata. Erano talmente ben costruite, grazie a una meticolosa opera di pavimentazione, che ancora oggi è possibile trovarne alcuni tratti integri, come la famosa Via Appia, la prima strada costruita nel 312 a.C., durante la seconda guerra sannitica..
L'attraversamento di corsi d'acqua, a seconda della loro dimensione, rappresentava un'altra difficoltà che il genio doveva essere in grado di risolvere in uno dei seguenti tre modi:
« poiché non c'erano barche che potevano essere assemblate in modo da passare il fiume, alcuni ingegneri di Massimino, si accorsero che vi erano numerose botti di legno vuote, abbandonate nei campi deserti, che gli abitanti di Aquileia utilizzavano per spedire il vino in modo sicuro per chi è costretto ad importarlo. Le botti erano vuote, come se fossero delle imbarcazioni, e una volta legate insieme ed ancorate alla riva attraverso delle funi, galleggiavano come dei pontoni, che la corrente non poteva portare via. Furono, quindi, disposte nella parte superiore di questi pontoni, con grande abilità e velocità, una serie di tavole ed uno strato di terra, disposto in modo uniforme sulla piattaforma stessa.»
Una delle opere di idraulica-militare rimaste tra le più famose in epoca romana, fu quella realizzata da Druso maggiore nel corso delle sue campagne militari condotte contro le popolazioni germaniche dei Frisi, a nord della foce del fiume Reno attorno agli anni 12-11 a.C. (fossa Drusi) e riutilizzata in seguito anche dal figlio Germanico nel corso delle campagne degli anni 14-16. Questa fossa aveva lo scopo di congiungere il fiume Reno con lo Zuiderzee, per permettere alla flotta romana di raggiungere più velocemente il mare del Nord, lontano dai rischi delle tempeste. Altro canale artificiale navigabile fu poi la fossa Corbulonis, costruita dal generale romano Gneo Domizio Corbulone quando fu Legatus Augusti pro praetore della Germania inferiore, attorno al 47.
Soprattutto durante il periodo imperiale, ma anche nel tardo periodo repubblicano, l'esperienza del genio militare fu impiegato, non solo in lavori di routine, ma anche in costruzioni di straordinario valore ingegneristico come dimostrano le opere realizzate in fase di assedio di città nemiche, sviluppate anche per diverse decine di chilometri. Il primo tra i più famosi, fu quello di Veio che secondo la leggenda durò dieci anni (come quello di Troia) dal 406 al 396 a.C.
Va ricordato che le città sotto assedio potevano essere prese in uno dei seguenti modi:
Nel primo caso, come ad esempio ad Alesia, Cesare, per garantire un perfetto blocco degli assediati, ordinò la costruzione di una serie di fortificazioni, chiamate "controvallazione" (interna) e "circonvallazione" (esterna), attorno all'oppidum gallico. Tali opere furono realizzate a tempo record in tre settimane, la prima "controvallazione" di quindici chilometri tutto intorno all'oppidum nemico (pari a dieci miglia romane) e, all'esterno di questo, per altri quasi ventun chilometri (pari a quattordici miglia).
Le opere comprendevano anche due valli (uno esterno e uno interno) sormontati da una palizzata; due fosse, la più vicina delle quali alla fortificazione, fu riempita con l'acqua dei fiumi circostanti; tutta una serie di trappole e profonde buche (dal "cervus" sul fronte del vallo sotto la palizzata, a cinque ordini di "cippi", otto di "gigli" e numerosi "stimoli"; quasi un migliaio di torri di guardia presidiate dall'artiglieria romana, ventitré fortini ("castella"), quattro grandi campi per le legioni (due per ciascun castrum) e quattro campi per la cavalleria, legionaria, ausiliaria e germanica. Furono necessarie considerevoli capacità ingegneristiche per realizzare una tale opera, ma non nuove per uomini come gli edili romani, che solo pochi anni prima, in dieci giorni, avevano costruito un ponte attraverso il Reno con somma meraviglia dei Germani.
Nel secondo caso, come successe ad Avarico, poiché la natura del luogo impediva di cingere la città con una linea fortificata continua, come invece fu poi possibile ad Alesia, Cesare dovette costruire una gigantesca rampa d'assedio (larga quasi 100 metri e alta 24 metri), con grande dispendio di energie e perdite di uomini a causa delle continue sortite che gli assediati compivano mentre i Romani erano intenti a costruire, come ci racconta lo stesso Cesare:
«Allo straordinario valore dei nostri soldati, i Galli opponevano espedienti d'ogni sorta: sono una razza molto ingegnosa, abilissima nell'imitare e riprodurre qualsiasi cosa abbiano appreso da chiunque. Infatti, dalle mura rimuovevano le falci per mezzo di lacci e, quando le avevano ben serrate nei loro nodi, le tiravano all'interno mediante argani. Provocavano frane nel terrapieno scavando cunicoli, con tanta maggior abilità, in quanto nelle loro regioni ci sono molte miniere di ferro, per cui conoscono e usano ogni tipo di cunicolo. Poi, lungo tutto il perimetro di cinta avevano innalzato torri e le avevano protette con pelli. Inoltre, di giorno e di notte operavano frequenti sortite, nel tentativo di appiccare il fuoco al terrapieno o di assalire i nostri impegnati nei lavori. E quanto più le nostre torri ogni giorno salivano grazie al terrapieno, tanto più i Galli alzavano le loro con l'aggiunta di travi. Infine, utilizzando pali dalla punta acutissima e indurita al fuoco, pece bollente e massi enormi, bloccavano i cunicoli aperti dai nostri e ci impedivano di accostarci alle mura.»
Alla fine però i Romani riuscirono a superare le difese nemiche dopo 27 giorni d'assedio, quando Cesare approfittò di un temporale per avvicinare una delle torri d'assedio alle mura della città, nascondendo molti dei soldati all'interno delle vineae, e al segnale convenuto riuscendo a irrompere con grande velocità sugli spalti della città.
Il primo impiego di macchine da guerra da parte dei Romani risalirebbe al 502 a.C. in occasione dell'assedio di Suessa Pometia, condotto con vineae e altre strutture non ben definite. Da ciò se ne deduce che in quella circostanza già vi fossero tecnici militari per la costruzioni dei primi strumenti di poliorcetica.
Benché la maggior parte della macchine d'assedio fu il risultato di un mero adattamento di quelle dei Greci, i Romani furono abili ingegneri per tecnica e velocità di esecuzione, così come introdussero alcune variazioni innovative nel campo delle baliste (si confronti a tal proposito il noto testo di Marco Vitruvio Pollione, il De Architectura) dell'epoca di Augusto).
L'impiego però di una vera e propria artiglieria risalirebbe però alla seconda guerra punica. Sappiamo infatti da Polibio che durante l'assedio di Lilibeo (del 250 a.C., durante la prima delle guerre puniche) furono impiegate solo macchinari e strumenti non da lancio, come arieti, vinea e torri d'assedio. È quindi successivo lo sviluppo dell'artiglieria romana.
In sostanza possiamo dividere le armi d'assedio romane in due grandi categorie:
L'accampamento "semi-permanente" adottato dai Romani fin dei tempi della Repubblica (cfr. guerre puniche), corrispondeva ai cosiddetti castra hiberna, vale a dire a quel genere di castra che potesse permettere alle truppe, di mantenere uno stato di occupazione e di controllo militare/amministrativo continuativo dei territori provinciali ancora in via di romanizzazione. Fu solo, però, grazie ad Augusto (30-29 a.C.) che si ottenne una prima e vera riorganizzazione del sistema di difese dell'Impero romano, acquartierando in modo permanente legioni e auxilia in fortezze e forti permanenti (castra stativa), non solo quindi per l'inverno (castra hiberna) lungo l'intero limes.
Le fortezze legionarie permanenti derivavano la loro struttura dagli accampamenti di marcia o "da campagna". La loro struttura era pertanto similare, pur avendo rispetto ai castra mobili, dimensioni ridotte, pari normalmente a 16-20 ettari. È vero anche che, almeno fino a Domiziano (89 d.C.), erano presenti lungo il limes alcune fortezze legionarie "doppie" (dove erano acquartierate insieme due legioni, come ad es. a Castra Vetera e a Mogontiacum), con dimensioni che si avvicinarono ai 40 ettari. A partire però da Diocleziano e dalla sua riforma tetrarchica, le dimensioni delle fortezze andarono sempre più diminuendo, poiché le legioni romane erano state ridotte alla metà degli effettivi.
I forti delle unità ausiliarie (chiamati castella), che ricordiamo potevano contenere cohors di fanteria o alae di cavalleria o cohors equitatae (unità miste), avevano invece misure molto diverse le une dalle altre, a seconda anche che contenessero unità quingenarie (di 500 armati circa) o milliarie (di 1.000 armati circa). Ad esempio, una cohors peditata quingenaria (500 fanti circa) veniva alloggiata in 1,2-1,5 ettari, mentre un'ala milliaria poteva necessitare di uno spazio molto ampio per alloggiare 1.000 armati e altrettanti cavalli (3,5-7 ettari, come a Porolissum).
Sappiamo poi che all'interno del genio, il mensor aveva il compito di:
Nelle fortezze erano, inoltre, attive alcune fabricae, che producevano sia le armi, sia i mattoni (le cosiddette tegulae), poste sotto la direzione di un magister fabricae, assistito da un optio fabricae e di un doctor fabricae.
La difesa delle province romane avvenne nel corso dei secoli con la costruzione di tutta una serie di opere di fortificazione lungo i confini imperiali, oppure attraverso una via di penetrazione (una strada, possibilmente lungo un corso fluviale) nei territori appena occupati (come avvenne in Germania al tempo di Augusto) lungo la quale furono posizionati forti ausiliari o fortezze legionarie oltre a torri di avvistamento (turris).
Nel primo caso le barriere erano costruite con un terrapieno (agger di terra), una palizzata in legno o un muro in pietra (a partire dal principato di Adriano), e un fossato antistante, come nel caso del vallo di Adriano, di quello Antonino, del limes Porolissensis o di quello germanico-retico.
Ogni tratto di frontiera era, inoltre, "seguita" parallelamente e in tutta la sua estensione, da una strada presidiata a intervalli regolari, da forti (castella), fortini (burgi) di unità ausiliarie, oltre a torrette (turris) e postazioni di avvistamento/controllo (stationes), dove erano distaccate unità di truppe ausiliarie o fortezze legionarie.
Raffigurazioni del limes romano le possiamo trovare nei fregi della Colonna Traiana e di quella di Marco Aurelio, dove le scene iniziali rappresentano la riva destra del Danubio, con tutta una serie di posti di guardia, forti, fortezze, difesi da palizzate, cataste di legna e covoni di paglia che, se incendiati, servivano come postazioni di segnalazione avanzata.
L'esercito romano prendeva, inoltre, parte a progetti di costruzione per uso civile. Ciò capitava soprattutto in periodi di pace, quando i soldati non erano impegnati in campagne militari. Il loro utilizzo si rendeva necessario per ovviare a un loro ingente costo che ne sarebbe derivato da un loro mancato utilizzo.
Il coinvolgimento dei soldati nella costruzione di opere pubbliche, aveva anche la funzione di tenerli ben addestrati al duro lavoro fisico, oltre a tenerli occupati, evitando così potessero covare un qualche sentimento di ammutinamento nei confronti del potere centrale, nel caso fossero risultati inattivi.
I militari, insieme ai civili, erano così impegnati nella costruzione non solo di strade, ma anche di intere città (come accadde attorno al 100, sotto Traiano con Timgad), di acquedotti, porti, canali di navigazione, tunnel (come nel caso di Béjaïa in Algeria, grazie a un librator della legio III Augusta), oltre a drenare i terreni e permettere di coltivarli. In alcuni rari casi i soldati erano anche impiegati nel settore minerario.