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La terzina dantesca, o terzina incatenata, o terza rima, è la strofa usata da Dante nella Divina Commedia.
Essa è costituita da tre versi endecasillabi, di cui il primo e il terzo rimano tra loro, mentre il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva. Ogni canto del poema è terminato da un ulteriore verso, che chiude la rima con il secondo verso della terzina che lo precede (dividendo per tre il numero dei versi di un canto si ottiene quindi sempre il resto di 1).
«Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina potestate
la somma sapïenza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.»
La rima incatenata è detta così perché, tramite il secondo verso, ciascuna terzina si aggancia alla successiva evocando l'immagine degli anelli di una catena. Questa struttura facilita la memorizzazione della sequenza di versi, inoltre impedisce che un copista possa aggiungere o cancellare terzine o singoli versi perché altrimenti si interromperebbe la sequenza. Questo tipo di rima si chiama anche terza rima in quanto tutti i versi rimano a tre a tre, tranne una coppia di versi all'inizio (il primo e il terzo della prima terzina) e una alla fine (il secondo dell'ultima terzina e il verso aggiunto finale), che rimano a due a due.
Lo schema metrico è il seguente: ABA BCB CDC DED … UVU VZV Z.
Un possibile antenato della terzina dantesca è il sirventese (o serventese): una strofa di tre versi endecasillabi con la stessa rima seguiti da un quinario che introduce la rima della strofa successiva. Nella Vita Nova Dante include un componimento poetico dal titolo Pìstola sotto forma di serventese, che da molti è considerato come anticipazione della strofa della Commedia.
Altre caratteristiche della terzina dantesca sono:
La parola Cristo rima sempre e solo con se stessa: Dante vuole con questo significare che nessun'altra parola è degna di essere accostata al nome di Cristo. Secondo Luigi Pietrobono, potrebbe essere una scelta dovuta al desiderio di espiare il peccato di aver usato il nome di Cristo in un sonetto comico, ma poiché la terzina si trova nel Paradiso, quando l'espiazione dei peccati è ormai compiuta, potrebbe trattarsi di erronea interpretazione.