Nell'articolo di oggi approfondiremo il tema Tetragramma biblico, una questione che ha generato dibattiti e polemiche negli ultimi tempi. Dalle sue origini ad oggi, Tetragramma biblico è stato oggetto di studio da parte di esperti del settore, che hanno dedicato innumerevoli ore di ricerca alla sua comprensione. In questo articolo esamineremo diversi aspetti legati a Tetragramma biblico, dal suo impatto sulla società alle possibili soluzioni e alternative che sono state proposte. Il nostro obiettivo è fornire una visione olistica e completa di Tetragramma biblico, offrendo al lettore un'analisi dettagliata e rigorosa che consenta una comprensione profonda di questo argomento così attuale oggi.
Il tetragramma biblico è la sequenza delle quattro lettere (greco: tetragràmmaton; τέτρα-, «quattro» e γράμματα, «lettere») ebraiche che compongono il nome proprio di Dio (detto in lingua latina theonymum), Yahweh, utilizzato nella Bibbia ebraica, il Tanakh, o per i cristiani l'Antico Testamento, in cui «il nome ricorre più di seimilaottocento volte».
L'esistenza di un teonimo in un contesto puramente monoteista è fonte di discussione.[Nota 1][Nota 2][Nota 3]
Le quattro lettere del tetragramma sono in ebraico יהוה? (yod, he, waw, he, da leggersi da destra a sinistra). La traslitterazione più comune è: YHWH. Dato che nella lingua ebraica non si scrivono le vocali, il tetragramma biblico è costituito unicamente da consonanti. Fin dall'epoca persiana, per un'interpretazione restrittiva del secondo dei dieci comandamenti, gli Ebrei considerano il tetragramma come troppo sacro per essere pronunciato e perciò la corretta vocalizzazione (l'interpolazione di vocali alle consonanti) delle quattro lettere del tetragramma è andata col tempo perduta. L'Ebraismo, quindi, ritiene persa la corretta pronuncia del nome sacro.
Coloro che seguono le tradizioni ebraiche conservatrici non pronunciano יהוה, ad alta voce o in silenzio mentalmente, né lo leggono traslitterato in altre lingue. La Halakhah (Legge ebraica) prescrive che il nome sia pronunciato come Adonai (quest'ultimo è anch'esso considerato un nome sacro, da usarsi solamente durante le preghiere),[Nota 4] prescrivendo anche che per farvi riferimento si debba usare la forma impersonale haShem ("il Nome"). La parola è invece sostituita con altri termini divini, sia che si desideri invocare o fare riferimento al Dio di Israele. Un'altra forma sostitutiva ebraica comune, oltre alle già citate, è hakadosh baruch hu (“Il Santo Benedetto”).
A partire dal XVI secolo è nata una ricerca approfondita e vasta su come ricostruire ipoteticamente la pronuncia del tetragramma. Basandosi sulle consonanti ebraiche, la pronuncia del tetragramma potrebbe essere vicino a Yahweh. I Samaritani, infatti, affermano che la pronuncia sia iabe. Alcune fonti patristiche, tuttavia, forniscono prove per la pronuncia greca iaō.
«Molti studiosi ritengono che il significato più appropriato possa essere "Egli porta all'esistenza ciò che esiste"» Hans Küng osserva che quel nome è «una dichiarazione sulla volontà di Dio, secondo l'interpretazione oggi fornita dai principali esegeti dell'Antico Testamento che esprime la sua esistenza dinamica ». Il nome potrebbe anche derivare da un verbo che significa "divenire", "avvenire", "esistere" ed "essere".
Le lettere, appropriatamente lette da destra a sinistra (in ebraico biblico), sono:
Ebraico | Nome della lettera | Pronuncia |
---|---|---|
י | Yod | |
ה | He | |
ו | Waw | , o segnaposto per vocale "O"/"U" (cfr. mater lectionis) |
ה | He | (o spesso muta a fine parola) |
Esiste fra gli studiosi contemporanei un consenso che il nome "YHWH" sia un verbo derivato dalla radice triconsonantica dell'ebraico biblico היה (h-y-h) – che significa "essere", "divenire", "avvenire" e che ha הוה (h-w-h) come forma arcaica – con un prefisso y- in terza persona maschile. Si collega al passo Esodo 3:14 in cui Dio dà il suo nome come אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה (ehyeh asher ehyeh), tradotto variamente come "Io sono colui che è", "Io sono colui che sono", "Sarò chi sarò" o ancora "Io sono io-sono"[Nota 5] o "Diverrò ciò che deciderò di divenire", "Diverrò qualsiasi cosa mi aggradi".
יהוה con la vocalizzazione (niqqud) "Yahweh" potrebbe in teoria essere l'inflessione verbale hif'il (causativa) della radice HWH, con un significato del tipo "colui che induce a esistere" o "che dà la vita" (l'idea base della parola essendo "respirare" e quindi "vivere") o "Egli fa divenire". Come inflessione verbale qal (paradigma base), potrebbe significare "Colui che è, che esiste".
Sono diverse le teorie sul significato del nome divino Yahweh.
Negli anni 1920, William Albright propose la teoria che il nome "Yahweh" è in realtà una abbreviazione della frase "yahweh (egli fa esistere) ašer (quello che) yihweh (esiste)", nella quale yahweh sarebbe la terza persona maschile singolare dell'imperfetto (aspetto, non tempo) del causativo del verbo hawah (forma arcaica del verbo ebraico hayah), e yihweh la parte corrispondente della forma semplice dello stesso verbo. Secondo la voce "Yahweh" (di data incerta) della Enciclopedia Britannica, molti studiosi hanno aderito a tale teoria, che però altri non accettano. Frank Moore Cross, discepolo di Albright, lui pure propone l'interpretazione causativa del nome "Yahweh", che secondo lui è una abbreviazione della frase yahweh ṣĕbaot (egli fa esistere gli eserciti celesti), frase che appare più di 200 volte nella Bibbia ebraica e di cui Cross rigetta l'interpretazione tradizionale: "Yahweh (o Signore) degli eserciti". David N. Freedman, altro discepolo di Albright, menziona altri ipotetici nomi di cui "Yahweh" potrebbe essere una forma abbreviata: ēl yahweh yiśrāʾēl (Dio fa esistere Israele), *ʾēl yahweh rûḥôt (Dio fa esistere i venti),
Il significato del tetragramma viene spesso messo in relazione con il passo del Libro dell'Esodo (3, 14) che contiene la frase אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה", ĕhyeh (Io sono o sarò, ecc.) ašer (quello che) "ĕhyeh". Lì il verbo ("esistere, essere") appare in prima persona e nella forma semplice o qal, non in quella causativa o hif'íl ("far esistere") ed è solitamente tradotto in italiano con "io sono". Cross propose che il testo originale fosse nella terza persona e nella forma hif'il: yahweh ašer yahweh; e Freedman considerò sufficiente mettere i verbi nella forma hif'il, cambiandone solo le vocali, e interpretare come equivalente a "io sono il creatore" la risultante frase, "io creo ciò che creo".
La Septuaginta rende la frase con Ἐγώ εἰμι ὁ ὤν (egṑ eimi ho ṑn), letteralmente "io sono l'esistente". Anticamente questa frase veniva intesa come indicazione dell'essenza metafisica di Dio. Gli esegeti contemporanei invece l'interpretano non come dichiarazione di Dio sulla sua esistenza statica, ma come promessa di essere attivamente o dinamicamente con Mosè e con il popolo d'Israele ("mostrarsi presente").
La maggioranza degli studiosi moderni non limitano il nome al senso causativo ma lo collegano con il raggio più vasto di significati del verbo, che nella forma qal significa essere, esistere, divenire, avvenire, avere l'esistenza e denota l'esistenza attiva di Dio a favore del suo popolo, come dichiara Dio in Esodo 3,14: "Io sono colui che sono" o "che sarò" o "che diventerò", ecc. È tipico dell'erudizione contemporanea mettere l'accento su tale esistenza attiva.
Michael S. Heiser indica vari motivi per considerare insicura l'interpretazione del nome "Yahweh" sulla base della sola forma causativa del verbo. I Testimoni di Geova, che hanno scelto l'interpretazione causativa, riconoscono che, data la varietà delle opinioni al riguardo, essa non può essere considerata certa.
Secondo G. H. Parke-Taylor, mentre non si può escludere che il nome divino abbia avuto origine dal senso causativo del verbo, tale significato fu poi sostituito dalla spiegazione etimologica di Esodo 3,14, con conseguente spostamento dell'enfasi dalle azioni di Dio alla sua continua presenza, nella sua libertà e nella sua sovranità, in mezzo al suo popolo. Nel 1978, il relativo studio di Hans Kosmala notò che il capitolo 3 di Esodo interpreta il nome "Yahweh" come espressione dell'esistenza attiva di Dio: "e nessun'altra spiegazione viene data né in tale capitolo né altrove Nella Bibbia ebraica non si trova alcun elemento che possa suggerire la spiegazione del tetragramma proposta da Albright e da Freedman. E nel 2018 John I. Durham osserva: "Il nome speciale יהוה 'Yahweh' viene definito, nell'unica spiegazione che si dà nell'intero Antico Testamento, come affermazione della realtà dell'attiva esistenza del Dio d'Israele".
Alcuni studiosi affermano che la migliore spiegazione etimologica del nome "Yahweh" è quella che, sulla base di un'altra radice semitica, che significa "soffiare", identifica il dio degli Ebrei come dio della tempesta. Fra essi si trovano Julius Wellhausen e Thomas Römer, Jürgen van Oorschot e Markus Witte, B. Duhm, R. Eisler, W.O.E. Oesterly e T.H. Robinson, e T.J. Meek.
La Jewish Encyclopedia riporta:
«è possibile determinare con un buon grado di certezza la pronuncia storica del Tetragramma, e il risultato è in accordo con l'affermazione contenuta in Esodo 3:14, nel quale la radice verbale si rivela come "Io sarò", una frase che è immediatamente preceduta dall'affermazione completa "Io sarò ciò che sarò", oppure, come nelle versioni in italiano (o in inglese) "Io sono" e "Io sono ciò che sono". Il nome deriva dalla radice del verbo essere, ed è visto come un imperfetto. Questo punto è decisivo per la pronuncia poiché l'etimologia è basata in questo caso sulla parola nota. Gli esegeti più antichi, come Onkelos, i Targumin di Gerusalemme e lo pseudo-Gionata considerano Ehyeh e Ehyeh Asher Ehyeh come il nome della Divinità, e accettano l'etimologia di hayah: "essere"»
Il tetragramma potrebbe anche significare "io mostrerò d'essere ciò che mostrerò d'essere" oppure "Io sono l'essenza dell'essere": il nome per indicare che Dio può manifestarsi nel tempo come tutto ciò che desidera e che attualmente è fuori del tempo. Con ciò YHWH dice a Mosè di essere colui che è sempre presente a favore del suo popolo. Il nome di Dio assume così un doppio significato:
Il teologo Hans Küng nel libro Dio esiste, paragrafo "L'unico Dio con un nome", fa un'ampia disamina sul significato del nome, esprimendo un punto diverso:
« Jahvé (abbreviazione in «Jah»): scritto in ebraico soltanto da quattro consonanti, con il tetragramma JHWH. Soltanto in epoca molto posteriore, non volendo più pronunciare per rispetto il nome di Jahvé (a partire dal sec. III), si aggiunsero alle quattro consonanti le vocali del nome divino «Adonai» ("Signore"), dando così motivo ai teologi medievali (e agli odierni Testimoni di Geova) di leggere «Jehovah» invece che Jahvé. Ma qual è il significato del nome Jahvé? In tutto l'Antico Testamento, nel quale il nome ricorre più di seimilaottocento volte, si trova soltanto l'enigmatica risposta ricevuta da Mosé sul Sinai, davanti al roveto ardente: «ehejeh aser ehjeh». Come tradurre questa dichiarazione, sulla quale è stata scritta tutta una piccola biblioteca? Per lungo tempo ci si è attenuti alla traduzione greca dell'Antico Testamento (detta dei Settanta, in quanto opera, secondo la leggenda, di settanta traduttori): «Io sono colui che sono». Una traduzione che conserva ancora il suo valore. Il verbo «hajah» infatti - sia pure in rarissimi casi - significa anche «essere». Per lo più però il suo significato va cercato tra «essere presente, aver luogo, manifestarsi, accadere, divenire». Siccome inoltre in ebraico si ha la stessa forma per il presente e il futuro, si può tradurre tanto «Io sono presente quando sono presente» quanto «Io sono presente quando sarò presente» oppure - secondo il grande traduttore ebreo dell'Antico Testamento Martin Buber - «Io sarò presente quando sarò presente». Qual è il significato di questo nome enigmatico? Non si tratta di «una dichiarazione sull'essenza di Dio», come ritenevano i Padri della Chiesa, gli scolastici medievali e moderni: nessuna rivelazione dell'entità metafisica di Dio, da intendersi nel senso greco di un essere statico («ipsum esse»), nel quale, secondo la concezione tomista, l'essenza e l'esistenza coinciderebbero. Si tratta «piuttosto» di «una dichiarazione sulla volontà di Dio», secondo l'interpretazione oggi fornita dai principali esegeti dell'Antico testamento: vi si esprime la presenza di Dio, la sua esistenza dinamica, il suo essere presente, reale, operante, il suo infondere sicurezza, il tutto in una formulazione che non permette oggettivazioni, cristalizzazioni e fissazioni di sorta. Il nome «Jahvé» quindi significa: «Io sarò presente!» - guidando, aiutando, rafforzando, liberando.»
Il significato del nome secondo Franz Rosenzweig è: Ich werde dasein, als der ich dasein werde.[Nota 6]
Il filosofo ebreo Ernst Bloch afferma che "il Dio dell'Esodo non è statico come gli dei pagani", e ne deduce che il passo biblico Esodo 3:14 si traduce meglio con "Io sarò quello che sarò" in contrasto con la Biblia Sacra Vulgata del V secolo, dalla quale derivano o fanno riferimento le maggiori traduzioni successive, nella quale leggiamo "ego sum qui sum", e con le più diffuse traduzioni del testo masoretico Codex Leningradensis, nel quale leggiamo "אֶֽהְיֶ֑ה אֲשֶׁ֣ר אֶֽהְיֶ֖ה", ossia "'eh·yeh 'ă·šer 'eh·yeh", che viene spesso tradotto "Io sono chi io sono".. L'intenzione del filosofo è quella di proporre un contrasto con l'iscrizione "EI" del tempio di Apollo a Delfi, che secondo la sua "interpretazione mistico-numerica" si tradurrebbe "Tu sei"., continua Bloch, «nel senso dell'esistenza atemporale e immutabile del Dio. 'Ehjeh ašer 'ehjeh invece si presenta fin dalla prima apparizione di Jahvé un Dio della fine dei giorni, che ha nel futuro la propria qualità ontologica. Questo Dio-Fine e Omega sarebbe stato una stoltezza a Delfi, come in ogni religione il cui Dio non sia un Dio dell'esodo». Altri ritengono oggi impossibile stabilire l'esatto significato
L'utilizzo di numeri per indicare le divinità era comune nel mondo mesopotamico, per esempio Anu era il numero 60, Ea il 40, Sin il 30, Ishtar il 15, ecc. Questi numeri venivano semplicemente scritti al posto del nome della corrispondente divinità. Non deve quindi sorprendere che gli Israeliti abbiano cercato di stabilire con l'aiuto della gematria dei numeri che corrispondessero a YHWH. La soluzione più diretta è il numero 26, ma non meno importante è il 17 che si ottiene escludendo valori superiori al 9 nella corrispondenza con le lettere: in pratica il valore 10 assegnato alla lettera Y diventa 1. Questa forma compatta di gematria era molto diffusa. Il 17, poi, poteva essere ridotto a 1+7 o semplicemente 8. Secondo Israel Knohl, che fornisce molti esempi dell'uso biblico di questi numeri, anche il rito più sacro del culto ebraico, che veniva eseguito una volta l'anno per ottenere il perdono dei peccati, era governato da questa numerologia. Il sommo sacerdote, infatti, aspergeva con il dito intinto nel sangue delle due vittime una volta il lato orientale del propiziatorio più altre sette volte il davanti (Lv 16,14-15). Il rito equivaleva ad una duplice muta invocazione del nome di YHWH I numeri 17 e 26, inoltre, pervadono tutti i libri della Bibbia in un modo meno visibile, ma rigorosamente applicato quasi ovunque. Infatti, i numeri ottenuti contando le lettere o le parole delle pericopi bibliche sono quasi sempre multipli di 17 o di 26.
La tradizione cabbalistica afferma che la pronuncia corretta del tetragramma biblico è nota solo a una stretta cerchia di persone per ogni generazione, ma non ad altri. In opere cabalistiche successive a volte si fa riferimento al tetragramma col nome Havayah—in ebraico הוי'ה?, che significa "il Nome dell'Essere/Esistenza". Questo nome serve anche quando c'è bisogno di far riferimento specificamente al Nome scritto; parimenti, "Shem Adonoot," che significa "il Nome d'Autorità" può essere usato per riferirsi specificamente al nome parlato "Adonai".
Moshe Chaim Luzzatto, l'albero del tetragramma "si dispiega" secondo la natura intrinseca delle sue lettere, "nello stesso ordine in cui appaiono nel Nome, nel mistero del dieci e nel mistero del quattro." Pertanto, l'apice superiore della lettera Yod è Arich Anpin (emanazione divina) e il corpo principale di Yod è Abba; la prima lettera Hei è Imma (Madre); la Vav è Zeir Anpin e la seconda Hei è Nukvah. Si sviluppa in questo ordine succitato e "nel mistero delle quattro espansioni" che sono costituite dalle seguenti grafie delle lettere:
ע"ב/`AV : יו"ד ה"י וי"ו ה"י, chiamato "`AV" secondo il suo valore ghematrico ע"ב=70+2=72.
ס"ג/SaG: יו"ד ה"י וא"ו ה"י, ghematria 63.
מ"ה/MaH: יו"ד ה"א וא"ו ה"א, ghematria 45.
ב"ן/BaN: יו"ד ה"ה ו"ו ה"ה, ghematria 52.
Luzzatto riassume: "In conclusione, tutto quello che esiste si fonda sul mistero di questo Nome e sul mistero di queste lettere che lo compongono. Ciò significa che tutti gli ordini e leggi differenti sono estratti e sottesi a queste quattro lettere. Questo non è un particolare percorso ma piuttosto un sentiero generale, che include tutto ciò che esiste nelle Sefirot in tutti i loro dettagli e che mette ogni cosa sotto al suo ordine."
Un altro parallelo connette le quattro lettere del tetragramma con i Quattro Mondi: il carattere י è associato ad Atziluth, la prima ה con Beri'ah, il carattere ו con Yetzirah, e quello finale ה con Assiah.
Ci sono quelli che credono che la tetraktys e i suoi misteri abbiano influenzato i primi cabalisti. Una tetraktys ebraica in modo simile mostra le lettere del tetragramma iscritte sulle dieci posizioni del triangolo, da destra a sinistra. Si sostiene che l'Albero della vita cabalistico, con le sue dieci sfere di emanazione, sia in qualche modo collegato alla tetraktys, ma la sua forma non è quella di un triangolo. La scrittrice esoterista Dion Fortune dice:
(Il primo solido tridimensionale è il tetraedro.)
Il rapporto tra le forme geometriche e le prime quattro Sefirot è analogo alle correlazioni geometriche della tetraktys e sottolinea la pertinenza dell'Albero della Vita con la tetraktys.
La pronuncia più vastamente accettata del tetragramma (YHWH) è Yahweh.[Nota 7]Una delle prime testimonianze cristiane in tal senso è Clemente Alessandrino (150-215) negli Stromati. L'esegeta benedettino Genebrardus (Francia, 1535–1597) propose la pronuncia Jahve basandosi sull'asserzione di Teodoreto che i Samaritani usassero la pronuncia Iabe. Il biblista Arthur Lukyn Williams (1853-1943) asserì che la pronuncia del tetragramma dovesse essere Yaho o Yahu basandosi sui nomi teofori della Bibbia ebraica (Tanakh) che terminano in YHW.
Alla maggioranza degli ebrei comunque era proibito pronunciare o persino scrivere l'intero tetragramma. In assenza di una vocalizzazione precisa, ogni traduttore moderno deve comunque usare un certo criterio per inserire nel tetragramma le vocali che permettano di leggerlo in una delle lingue correnti. Nelle edizioni odierne della Bibbia il nome può essere pertanto trascritto in vari modi, a seconda delle ipotesi sottese.
Le vocalizzazioni più conosciute sono:
È accettata la vocalizzazione A E, che fa riferimento al testo del capitolo 3 del libro dell'Esodo in cui Dio rivela il suo nome a Mosè. In questo caso dal testo si evince che יהוה è una forma arcaica del verbo essere in ebraico (hawah, moderno hajah), significante "Egli è", in una forma causativa del verbo.
La vocalizzazione O A I sembra molto forzata.
Forzata è anche la vocalizzazione I I, che deriverebbe da un'altra trascrizione (יי). Si tenga poi presente che la lettera vav (ו), una volta vocalizzata in O o U, perde il suono V per assumere un suono puramente vocalico, quindi il tetragramma potrebbe essere una sequenza di soli suoni vocalici.
In tempi recenti, George W. Buchanan, professore emerito del Wesley Theological Seminary di Washington, sulla base di alcuni nomi ebraici di persone o luoghi contenuti nelle scritture che mantengono una forma abbreviata del nome divino, afferma: "Nella dozzina di nomi biblici che incorporano il nome divino, questa vocale mediana appare sia nell'originale sia nelle forme accorciate, come per Jehonathan e Jonathan. In nessun caso viene omessa la vocale u o o. La parola era a volte abbreviata con 'Ya', ma mai come 'Ya-weh'... Quando il tetragramma veniva pronunciato come singola sillaba, era 'Yah' o 'Yo'. Quando era pronunciata in tre sillabe, doveva essere 'Yahowah' o 'Yahuwah'. Se mai venne abbreviata in due sillabe, avrebbe dovuto essere 'Yaho'." Afferma inoltre: "Tale è la pronuncia corretta del tetragramma, come viene reso chiaro dalla pronuncia dei nomi propri nel Primo Testamento (PT), in poesia, nei documenti aramaici del quinto secolo, nelle traduzioni greche del nome sui Rotoli del Mar Morto e nella patristica".
Il testo consonantico originale della Bibbia ebraica era, molti secoli dopo, fornito di segni vocali dai Masoreti per aiutarne la lettura. Nei punti in cui le consonanti del testo da leggere (il Qere) differiva dalle consonanti del testo scritto (il Ketiv), i Masoreti scrissero il Qere ai margini come nota che dimostrava come si doveva leggere. In tal caso le vocali del Qere erano scritte sul Ketiv. Per alcune parole più frequenti la nota a margine veniva omessa: questa forma si chiama Q`re perpetuum.[Nota 8]
Uno di questi casi frequenti fu il tetragramma, che secondo l'osservanza ebraica antica non doveva essere pronunciato, ma letto come "Adonai" ("Mio Signore") oppure, se la parola precedente o quella successiva era già "Adonai" o "Adoni", bisognava leggerla come "Elohim" ("Dio"). Questa combinazione produce יְהֹוָה e יֱהֹוִה rispettivamente, parole obsolete che si rendono con "yehovah" e "yehovih" rispettivamente. I manoscritti più antichi completi o quasi completi del Testo Masoretico del Tanakh con la vocalizzazione tiberiense, quale il Codex Aleppo e il Codex Leningradensis, entrambi del X o XI secolo, in gran parte riportano יְהוָה (yehvah), senza punto sotto la prima H; ciò potrebbe essere perché il punto diacritico della o non gioca un ruolo utile nel distinguere tra Adonai e Elohim (e quindi è ridondante), o potrebbe indicare che il Qere è "Shema", che è l'aramaico de "il Nome".
In ebraico antico, la lettera ו, nota a locutori ebrei moderni come vav, era una semivocale /w/ (come per l'inglese e non per il tedesco) piuttosto che una /v/.[Nota 9] La lettera, nel mondo accademico, viene indicata come waw, e conseguentemente in ebraico יהוה? è rappresentato nei testi accademici come YHWH.
Nell'ebraico biblico non punteggiato, gran parte delle vocali non vengono scritte e quelle che vengono scritte sono ambigue, poiché le lettere vocali sono usate anche come consonanti (simile all'uso latino di V per indicare sia V sia U - cfr. matres lectionis per dettagli). Per pari ragioni, la comparsa del tetragramma in due papiri scritti in egizio del XIII secolo p.e.v.[Nota 10] non getta luce sulla pronuncia originale. Pertanto in generale è difficile dedurre come una parola venga pronunciata basandosi solo sulla sua grafia, e il tetragramma ne è esempio particolare: due delle sue lettere possono servire come vocali, e due sono segnaposti vocalici, non pronunciabili. Pertanto il filosofo e storico del I secolo Flavio Giuseppe ebbe a dire che il nome sacro di Dio consiste di "quattro vocali". In nessuno dei due papiri il nome Yahu è posto in relazione con il popolo degli Israeliti o con la terra palestinese.
Questa difficoltà si verifica anche in greco nella trascrizione di parole ebraiche, perché al greco manca una lettera che rappresenti la consonante "y" e (dalla perdita del digamma) di una lettera "w", causando la trascrizione in greco delle consonanti ebraiche "yod" e "waw" come vocali. Inoltre, la "h" non iniziale provocò difficoltà ai greci e spesso rischiava di essere omessa; χ (chi) era pronunciata come "k" + "h" (come nell'hindi moderno "lakh", cioè लाख) e non poteva essere usata per rappresentare "h", come nel greco moderno Χάρρι = "Harry", per esempio.
Le vocalizzazioni di יְהֹוָה (Yehowah) e אֲדֹנָי (Adonai) non sono identiche. Lo scevà in YHWH (la vocale ְ sotto la prima lettera) e la hataf patakh in 'DNY (la vocale ֲ sotto la sua prima lettera) appaiono differenti. La vocalizzazione può essere attribuita alla fonologia dell'ebraico biblico, dove la hataf patakh è grammaticalmente identico allo scevà, rimpiazzando sempre ogni sceva naḥ sotto una lettera velare. Poiché la prima lettera di אֲדֹנָי è una velare, mentre non lo è la prima lettera di יְהֹוָה, la hataf patakh sotto aleph (velare) torna a essere uno scevà regolare sotto alla lettera (nonvelare) yod.
La tabella qui sotto considera rispettivamente i punti vocalici di יְהֹוָה (Yehowah) e di אֲדֹנָי (Adonai):
Parola ebraica #3068 YEHOVAH יְהֹוָה |
Parola ebraica #136 ADONAY אֲדֹנָי | ||||
---|---|---|---|---|---|
(HE) | Yod | Y | א | Aleph | occ. glottidale sorda |
ְ | Sh'wa semplice | E | ֲ | Hataf Patah | A |
ה | Heh | H | ד | Daleth | D |
. | Holem | O | . | Holem | O |
ו | Waw | W | נ | Nun | N |
ָ | Kametz | A | ָ | Kametz | A |
ה | Heh | H | י | Yod | Y |
Da notare nella tabella sopra che la "sh'wa semplice" di Yehowah e la hatef patah di Adonai non sono la stessa vocale. La stessa informazione viene mostrata nell'immagine a destra (in inglese), dove si intende che YHWH debba essere pronunciato come Adonai ("YHWH intended to be pronounced as Adonai"), e Adonai stesso mostra i suoi punti vocalici leggermente differenti ("Adonai, with its slightly different vowel points").
"Jehovah" (dʒɨˈhoʊvə) è un adattamento dell'ebraico יְהֹוָה, vocalizzazione del tetragramma. "Geova" è stata una delle forme di יְהֹוָה largamente diffuse nella letteratura e nell'esegesi italiane, specie prima che gli studiosi abbandonassero il suo uso. Come spiegato nella sezione precedente, le consonanti del tetragramma, e i punti vocalici di יְהֹוָה sono simili, ma non esattamente gli stessi, dei punti vocalitici presenti in Adonai, "Signore".
La maggioranza dei biblisti credono che "Jehovah" sia una tarda (c. 1100 e.v.) forma ibrida derivata dalle lettere latine JHVH con le vocali di Adonai. La vocalizzazione storica andò persa perché nell'ebraismo del Secondo Tempio, durante i secoli III e II p.e.v., la pronuncia del tetragramma venne evitata, sostituendola con Adonai ("Mio Signore"). Il consenso degli esegeti è che la vocalizzazione storica del tetragramma al tempo della redazione della Torah (VI secolo p.e.v.) sia quasi sicuramente Yahweh. Tuttavia c'è del disaccordo. Alcuni testi della tarda antichità (V secolo) possono essere relazionati sia con "Yahweh" sia con "Jehovah".[Nota 11] E c'è chi afferma che la pronuncia corretta sia "Jehovah".[Nota 12]
I primi testi che contengono יְהֹוָה, con la fonetizzazione ottenuta dal testo masoretico, sono stati scritti nel 1270 ("Jehova"), stessa forma nel 1707, 1546 ("Ieova"), 1561 ("Iehova") 1721 ("Jehovah"). Studiosi cattolici hanno talvolta usato questo nome nei secoli passati (ma solo in versioni di studio, mai nella preghiera o nella liturgia o nel catechismo) come la fonetizzazione di un nome di Dio nella Bibbia anche se, sostenendo che è filologicamente errato, ne hanno progressivamente abbandonato l'uso, sostituendolo con Yahweh o preferendo non vocalizzare affatto il tetragramma, secondo l'antica tradizione ebraica.[Nota 13]
"Jehovah" venne diffuso nel mondo anglofono da William Tyndale e altri traduttori inglesi protestanti,[Nota 14] e viene ancora usato nella (EN) New World Translation. Ma non è più usato nelle traduzioni inglesi mainstream, usando invece Signore/Lord e indicando generalmente che il corrispondente ebraico è Yahweh o YHWH.[Nota 15]
La Jewish Encyclopedia (1908) ritiene filologicamente errata la forma "Jehovah", come riportato alla rispettiva voce:
«Jehovah: Pronuncia scorretta introdotta da teologi cristiani, ma completamente rifiutata dagli ebrei, dell'ebraico יהוה, nome ineffabile di Dio (tetragramma o "Shem ha-Meforash". Questa pronuncia è grammaticalmente impossibile; è derivata dalla pronuncia delle vocali del "ḳere" (lettura marginale del testo masoretico: "Ado-nay"), con le consonanti di "ketib" (lettura testuale di "יהוה") - poiché la parola Ado_nai (Signore) veniva usata come sostituto di יהוה ogni volta che tale parola compariva, con una sola eccezione, in libri biblici o liturgici. Adonai presenta le vocali "shewa" (il composto sotto il gutturale א diventa semplice sotto י), "ḥolem," e "ḳameẓ," e ciò porta a "Jehovah").
Queste sostituzioni di Adonai ed Eloim al posto di יהוה furono introdotte per evitare la profanazione del Nome Ineffabile.
La lettura Jehovah è una invenzione relativamente recente. I primi commentatori cristiani riportano che il tetragramma veniva scritto, ma non pronunciato dagli ebrei. Generalmente si ritiene che il nome Jehovah sia stato un'invenzione del confessore di papa Leone X, Pietro Colonna "il Galatino", "De Arcanis Catholicæ Veritatis," 1518, folio XLIII. che fu imitato nell'uso di questa forma ibrida da Fagius. Pare tuttavia che anche prima di Galatino questo nome sia stato in uso comune, e compare nel Pugio Fidei di Raimondo Martí, scritto nel 1270.»
L'esegeta ed ebraista Wilhelm Gesenius (1786–1842) sosteneva che la punteggiatura ebraica יַהְוֶה, che viene traslitterata in molte lingue con "Yahweh" (che si pronuncerebbe – in Italiano Y = I come pronuncia), potrebbe rappresentare più accuratamente la pronuncia del tetragramma in contrasto con la punteggiatura ebraica biblica "יְהֹוָה", da cui deriva il nome inglese "Jehovah". La sua proposta di leggere YHWH con "יַהְוֶה" (si veda l'immagine a sinistra) era basata in gran parte su varie trascrizioni greche, come ιαβε, che risaliva ai primi secoli dell'era volgare, ma anche su forme di nomi teoforici. Nel suo Hebrew Dictionary, Gesenius supporta "Yahweh" (che verrebbe pronunciato , con la lettera finale muta) a causa della pronuncia samaritana Ιαβε riportata da Teodoreto, e afferma che i prefissi teofori YHW e YH possono essere spiegati come derivanti dalla forma "Yahweh". Oggigiorno molti studiosi accettano la proposta di Gesenius che legge YHWH come יַהְוֶה. Tale proposta venne accettata come la migliore ortografia ebraica del tetragramma ricostruita da esegeti. La pronuncia Yahweh è inoltre riportata da Clemente Alessandrino, che ne deriva la fonetizzazione dal verbo essere in ebraico, legato anche a un'interpretazione di Esodo 3. Alcuni biblisti tuttavia nutrono dubbi su questi precedenti. Franz Delitzsch (1877) invece preferisce "יַהֲוָה" (yahavah), mentre nel Dizionario della Bibbia del 1863, William Smith preferisce la forma "יַהֲוֶה" (yahaveh).
Yeho o "Yehō-" è la forma di prefisso per "YHWH" usata nei nomi teoforici in ebraico; anche il suffisso "Yahū" o "-Yehū" è altrettanto comune. Questo ha generato due opinioni:
Coloro che sostengono l'argomento 1 di cui sopra, sono: George Wesley Buchanan su Biblical Archaeology Review; William Smith nel suo A Dictionary of the Bible (1863); la Sezione nr. 2:1 de The Analytical Hebrew & Chaldee Lexicon (1848) nel rispettivo articolo "הוה".
Il secondo argomento poggia su basi grammaticali, poiché abbreviare con "Yahw" finirebbe per essere "Yahu" o simili, e forme del tipo Yo (יוֹ) contrazione di Yeho (יְהוֹ) e il suffisso "-yah", come anche "Yeho-" o "Yo" possono sicuramente essere spiegate quali derivative di "Yahweh" piuttosto che "Yehovah".
La più antica attestazione del nome divino come Dio degli israeliti è la stele del re moabita Mesha. Nel millennio precedente, tuttavia, il nome compare in papiri egiziani e iscrizioni, in cui sembra associato a toponimi nel'area del Sinai. Dato che proprio questa è l'area in cui il nome fu rivelato a Mosè e in cui Dio si rivelò al popolo ebraico durante l'Esodo, alcuni studiosi ipotizzano che il nome IHWH fosse quello della divinità suprema dei madianiti e dei keniti che abitavano il territorio fra il monte Sinai, il monte Seir e il Paran. Altri studiosi hanno cercato di trovare tracce del nome divino in antichi testi ugaritici ed eblaitici.
L'iscrizione più antica del tetragramma risale all'anno 840 p.e.v., sulla Stele di Mesha. Riporta il primo riferimento extrabiblico accertato del Dio israelita Yahweh. Un'iscrizione del tetragramma in caratteri ebraici, risalente al VI secolo p.e.v., fu rinvenuta su due scrolli d'argento nel sito archeologico di Ketef Hinnom, nell'area della Città Vecchia di Gerusalemme.
Nei Manoscritti del Mar Morto e altri testi ebraici e aramaici, il tetragramma e alcuni altri nomi di Dio nell'ebraismo (come El o Elohim) venivano a volte scritti in alfabeto paleoebraico, dimostrando di essere considerati speciali. I membri della comunità del Qumran erano consapevoli dell'esistenza del tetragramma, ma ciò non equivaleva a concederne l'autorizzazione a pronunciarlo o usarlo altrimenti. Questo è dimostrato non solo dal trattamento speciale del tetragramma nel testo, ma dalla raccomandazione registrata nella "Regola di Associazione": "Chi si ricorderà del nome più glorioso, che è sopra tutti ".
I manoscritti ritrovati a Qumran attestano tre diverse modalità di scrivere il tetragramma, soprattutto in citazioni bibliche: in alcuni manoscritti è riportato in scrittura paleoebraica, in altri in scrittura quadrata, in altri ancora è rimpiazzato da quattro punti o trattini (tetrapuncta). Nel manoscritto nr. 4Q248 i quattro punti sono sostituiti da barre.
I copisti apparentemente usavano il tetrapuncta per ammonire contro la pronuncia del nome di Dio. La maggioranza dei nomi divini, infatti, furono pronunciati fino al II secolo p.e.v.. Poi, man mano che si sviluppava la tradizione di non pronunciare i nomi, apparvero alternative del tetragramma, come Adonai, Kyrios e Theos.
Il 4Q120, frammento greco di Levitico 26:2-16 scoperto nei Manoscritti del Mar Morto (Qumran) ha ιαω ("Iao"), la forma greca del trigramma aramaico YHW. Lo storico Giovanni Lido (VI secolo) scrisse: "Il romano Varrone nel definirlo dice che sia chiamato Iao nei misteri Caldei" (De Mensibus IV 53). George Van Cooten asserisce che Iao è una delle "designazioni specificamente ebraiche di Dio" e "i papiri aramaici degli ebrei di Elefantina mostrano che 'Iao' è un termine originale ebraico".[Nota 16]
L'ultima vocale del nome Ιαω è lunga (omega); la vocale ι è breve e la α lunga, come dimostrano i versi citati in Macrobio, Saturnalia.
La tabella qui sotto presenta tutti i manoscritti in cui il tetragramma è scritto in caratteri paleoebraici[Nota 17] o in caratteri quadrati e tutti i manoscritti in cui i copisti hanno usato tetrapuncta.
PALEOEBRAICO | QUADRATO | TETRAPUNCTA |
---|---|---|
1Q11 (1QPsb) 2–5 3 | 2Q13 (2QJer) | 1QS VIII 14 |
1Q14 (1QpMic) 1–5 1, 2 | 4Q27 (4QNumb) | 1QIsaa (Rotolo di Isaia) XXXIII 7, XXXV 15 |
1QpHab (Commentario di Abacuc) VI 14; X 7, 14; XI 10 | 4Q37 (4QDeutj) | 4Q53 (4QSamc) 13 III 7, 7 |
1Q15 (1QpZeph) 3, 4 | 4Q78 (4QXIIc) | 4Q175 (4QTest) 1, 19 |
2Q3 (2QEsodob) 2 2; 7 1; 8 3 (link: The Dead Sea Scrolls - B-284856 The Dead Sea Scrolls - B-278362) | 4Q96 (4QPso | 4Q176 (4QTanḥ) 1–2 i 6, 7, 9; 1–2 ii 3; 8–10 6, 8, 10 |
3Q3 (3QLam) 1 2 | 4Q158 (4QRPa) | 4Q196 (4QpapToba ar) 17 i 5; 18 15 |
4Q20 (4QEsodoj) 1–2 3 | 4Q163 (4Qpap pIsac) I 19; II 6; 15–16 1; 21 9; III 3, 9; 25 7 | 4Q248 (Storia dei re della Grecia) 5 |
4Q26b (4QLevg) linea 8 | 4QpNah (4Q169) II 10 | 4Q306 (4QUomini del Popolo Che Errano) 3 5 |
4Q38a (4QDeutk2) 5 6 | 4Q173 (4QpPsb) 4 2 | 4Q382 (4QparaRe et al.) 9+11 5; 78 2 |
4Q57 (4QIsac) | 4Q177 (4QCatena A) | 4Q391 (4Qpap Pseudo-Ezechiele) 36, 52, 55, 58, 65 |
4Q161 (4QpIsaa) 8–10 13 | 4Q215a (4QTempo della Giustizia) | 4Q462 (4QNarrazione C) 7; 12 |
4Q165 (4QpIsae) 6 4 | 4Q222 (4QJubg) | 4Q524 (4QTb) 6–13 4, 5 |
4Q171 (4QpPsa) II 4, 12, 24; III 14, 15; IV 7, 10, 19 | 4Q225 (4QPsJuba) | XḤev/SeEschat Hymn (XḤev/Se 6) 2 7 |
11Q2 (11QLevb) 2 2, 6, 7 | 4Q365 (4QRPc) | |
11Q5 (11QPsa) | 4Q377 (4QPentateuco Apocrifo B) 2 ii 3, 5 | |
4Q382 (4Qpap paraRe) | ||
11Q6 (11QPsb) | ||
11Q7 (11QPsc) | ||
11Q19 (Rotolo del Tempio) (11QTa) | ||
11Q20 (11QTb) | ||
11Q11 (11QapocrPs) |
La data della composizione è una stima secondo Peter Muchowski, come riportato in "Commentaries to the Manuscripts of the Dead Sea" di Emmanuel Tov in "Scribal Practices and Approaches, Reflected in the Texts Found in the Judean Desert", Leiden, Brill 2004. In questi manoscritti l'uso dei tetrapuncta sembra precedere l'uso esplicito del tetragramma.
Manoscritti in blu hanno il tetragrammaton indicato con tetrapuncta |
Manoscritti in verde hanno il tetragramma scritto in paleoebraico |
Manoscritti in rosso hanno il tetragramma scritto in caratteri quadrati |
I numeri sulla linea orizzontale indicano l'anno approssimativo in cui furono prodotti i manoscritti.
L'ortografia del tetragramma appare tra le molte combinazioni e permutazioni di nomi di potenti agenti che si riscontrano nei papiri magici ebraici[Nota 18] ritrovati in Egitto. Una di queste forme è l'eptagramma ιαωουηε, che raccoglie tutte le vocali dell'alfabeto greco. Nei papiri magici ebraici, Iave e Iαβα Yaba appaiono frequentemente.
Si riscontra Yawe nella lista cristiana etiope dei nomi magici di Gesù, che si suppone fossero stati da lui insegnati ai discepoli.
Nella Bibbia ebraica (=Tanakh), il tetragramma appare 6 828 volte, come si può rilevare dalla Biblia Hebraica (BHK) e Biblia Hebraica Stuttgartensia (BHS). Inoltre, ai margini riporta note (Masorah[Nota 19]) a indicare che in 134 punti i soferim (scribi) ebrei alterarono il testo originale ebraico da YHWH a Adonai[Nota 20] e in 8 posti a Elohim, che aggiungerebbe 142 riscontri al succitato numero iniziale.[Nota 21] La presenza del nome divino in Zaccaria 9:4 nel frammento 8HevXII b (LXXVTS10b) conferma queste alterazioni. Secondo il Lexicon Brown-Driver-Briggs, יְהֹוָה (Qr אֲדֹנָי) appare 6 518 volte, e יֱהֹוִה (Qr אֱלֹהִים) appare 305 volte nel Testo Masoretico.
La forma breve Jah appare 50 volte: 43 volte nei Salmi, una volta in Esodo 15:2;17:16; Isaia 12:2;26:4, e due volte in Isaia 38:11. Nel Cantico dei cantici 8:6 compare nell'espressione šalehebeteja, "la fiamma di Jah".[Nota 22] Questa forma abbreviata Jah compare anche nel Nuovo Testamento nella parola greca Ἀλληλουϊά (hallelujah) in Apocalisse 19:1–6.
Il nome di Dio si trova nella Bibbia anche come componente di nomi teoforici ebraici. Alcuni potrebbero aver avuto la forma prefissa: "jô-" oppure "jehô-" (29 nomi), e altri i suffissi: "jāhû" o "jāh" (127 nomi). Un nome è la forma di jehô come seconda sillaba (Elioenaj, ebr. ʼelj(eh)oʻenaj). Studi onomastici indicano che i nomi teoforici contenenti il tetragramma erano molto popolari durante la monarchia (VIII e VII secolo p.e.v.).[Nota 23] I nomi popolari col prefisso jô-/jehô- diminuirono, mentre il suffisso jāhû-/jāh- aumentò.
Il nome divino compare per la prima volta nel testo ebraico in Genesi 2:4 e compare più o meno frequentemente in tutti gli altri libri della Tanach, tranne Ecclesiaste, il Libro di Ester e il Cantico dei cantici.
Nel Libro di Ester il tetragramma non appare, ma è presente in quattro punti diversi come acrostico nel testo ebraico: le lettere iniziali di quattro parole in successione includono YHWH. Queste lettere vennero distinte in almeno tre antichi manoscritti ebraici in rosso.[Nota 24] Un altro acrostico che contiene il tetragramma compone le prime quattro lettere di Salmi 96:11.
Qui sotto un grafico del numero di casi in cui il tetragramma appare nei vari libri del Testo Masoretico.
Sei grafie del tetragramma in ebraico sono presenti nel Codex Leningradensis del 1008–1010, come viene mostrato più sotto. I dati nella colonna "Trascrizione primaria" non intendono indicare come dovesse essere pronunciato il Nome dai Masoreti, ma come la parola dovesse essere pronunciata se letta senza q`re perpetuum (cfr. nota 31).
Capitolo & versetto | Grafia (HE) | Trascrizione primaria | Rif. | Spiegazione |
---|---|---|---|---|
Genesi 2:4 |
Questo è il primo caso in cui appare il tetragramma nella Bibbia ebraica e mostra la serie di vocali più comuni usata nel Testo Masoretico. È la stessa forma usata in Genesi 3:14 più sotto, ma senza il punto sopra la holam/waw, perché sarebbe un po' ridondante. | |||
Genesi 3:14 |
Questa è una serie di vocali raramente usata nel Testo Masoretico: sono essenzialmente le vocali di Adonai (con la hataf patah che ritorna al suo stato naturale di sh'wa). | |||
Giudici 16:28 |
Quando il tetragramma viene preceduto da Adonai, riceve invece le vocali dal nome Elohim. La hataf segol non ritorna a essere una sh'wa perché farlo potrebbe creare confusione con le vocali di Adonai. | |||
Genesi 15:2 |
Come sopra, questo usa le vocali di Elohim, ma come per la seconda versione, viene omesso il punto sopra alla holam/waw poiché ridondante. | |||
1 Re 2:26 |
Qui è presente il punto sopra la holam/waw, ma la hataf segol ritorna a essere sh'wa. | |||
Ezechiele 24:24 |
Qui viene omesso il punto sopra alla holam/waw e la hataf segol ritorna a essere una sh'wa. |
ĕ è hataf segol;[Nota 25] ǝ è la forma pronunciata della sh'wa semplice.
Il punto diacritico o sopra la lettera waw viene spesso omesso perché non ha un ruolo utile nel distinguere tra le due supposte pronunce di Adonai ed Elohim (nomi che hanno entrambi una vocale o nella stessa posizione).
In tutte le edizioni della Septuaginta, l'antica traduzione greca dell'Antico Testamento, anche se non in tutti i manoscritti (parziali) che esistono, appare costantemente Κύριος (Kyrios), che significa "Signore", o raramente Θεός (Theos), che significa "Dio", dove nel testo ebraico si trova il tetragramma יהוה. Esse così riportano il testo dei più antichi manoscritti completi della Septuaginta.
La parola greca Κύριος, il cui uso per tradurre il tetragramma corrisponde all'uso del termine אדני (Adonay) al posto del tetragramma nella lettura in ebraico ad alta voce, veniva impiegata come nome divino anche in libri scritti originalmente in greco negli ultimi secoli a.C., come per esempio il Secondo libro dei Maccabei (poco dopo il 124 a.C.), il Libro della Sapienza (redatto nel primo secolo a.C.) e 3 Maccabei (verso la fine del I secolo a.C.).
Sono stati trovati frammenti di manoscritti di parti della Septuaginta che contengono, invece di Κύριος, il tetragramma in ebraico o la sua traslitterazione greca Ἰαώ. Di questi, i primi sono del I secolo a.C., periodo al quale non appartiene alcun manoscritto finora scoperto della Septuaginta con Κύριος.
Nel rotolo del Mar Morto 4Q120, del I secolo a.C., al posto di Κύριος appare il nome ΙΑΩ in lettere greche.
Altri contengono in mezzo al testo greco il tetragramma scritto in ebraico.
Di questi il primo è il Papiro Fouad 266 del I secolo a.C. con il nome divino in caratteri ebraici normali ("quadrati") per 52 volte.
Del I secolo d.C. sono altri due, Papiro Ossirinco 3522 e Papiro Ossirinco 5101, che contengono il tetragramma biblico scritto in caratteri normali ebraici (יהוה).
Il nome è scritto con caratteri paleo-ebraici (𐤉𐤅𐤄𐤅) nel manoscritto LXX (IEJ 12) della fine del I secolo d.C., manoscritto chiamato pure LXX (VTS 10a) e LXX (VTS 10b).
È della seconda metà del III secolo il LXX (P. Oxy VII.1007), nel quale il nome di Dio è reso con una doppia jodh arcaica (𐤉𐤉) ma nel quale si trova pure il nomen sacrum θς (abbreviazione di Θεός).
Il Sym (P. Vindob. G. 39777), datato fra il III e IV secolo d.C., contiene il tetragramma in caratteri ebraici arcaici.
Non della Septuaginta ma della versione di Aquila di Sinope, che forse già dall'inizio dava il nome di Dio in caratteri paleo-ebraici, sono i manoscritti Aq (Burkitt) e Aq (Taylor), datati fra la seconda metà del V secolo e l'inizio del VI d.C.
Gli ultimi sono il Codex Marchalianus (VI secolo, tetragramma in caratteri ebraici quadrati), Taylor-Schechter 12.182 (VII secolo, tetragramma rappresentato dai caratteri greci ΠΙΠΙ), Ambrosiano (O 39 sup.) (fine del IX secolo, tetragramma in caratteri ebraici quadrati). Quest'ultimo ha cinque colonne: la prima contiene la traslitterazione del testo ebraico in greco, la seconda ha il testo greco di Aquila, la terza quella greca di Simmaco, la quarta la Septuaginta, e la quinta la versione greca denominata Quinta.
Uno dei piccoli frammenti del Papiro Rylands 458, di circa 150 a.C. e perciò forse il più antico manoscritto esistente della Septuaginta, contiene uno spazio in bianco, che a metà del XX secolo gli studiosi Paul Kahle, Sidney Jellicoe e Wurthwein e Fischer interpretavano come forse riservato per l'inserimento o del tetragramma o della parola κύριος, ma secondo Larry Hurtado il relativo versetto difatti non contiene il nome divino.
Origene (185–254) nel Commentario ai Salmi 2.2 e Girolamo (347–419/420) nel Prologus Galeatus attestano che ai loro tempi i più esatti manoscritti dell'Antico Testamento in greco contenevano il tetragramma in lettere ebraiche arcaiche. Baudissin dice che per "più esatti" si intendeva i manoscritti della traduzione estremamente letterale di Aquila di Sinope o di quella di Simmaco l'Ebionita. Concorda Pentiuc nel riferire le testimonianze di Origene e di Girolamo alla versione di Aquila.
Un elenco completo degli esistenti manoscritti scritturistici greci relativi alla questione del nome divino si trova nell'Appendice 5 dello studio di Emanuel Tov Scribal Practices and Approaches Reflected in the Texts Found in the Judean Desert
Del I secolo a.C. esso indica 1 manoscritto con יהוה, due con 𐤉𐤅𐤄𐤅, e 1 con ΙΑΩ. Del I secolo d.C. 1 con 𐤉𐤅𐤄𐤅. Del periodo a cavallo del I e del II secolo d.C. 1 con Θεός. Del II secolo d.C., 2 con KC. Del ΙΙ–ΙΙΙ secolo, 4 con KC, 1 con Κύριος. Del III secolo 17 con KC, 1 con 𐤉𐤉 e Θεός, 3 con ΘΣ. Del ΙIΙ–ΙV secolo 7 con KC, 1 con ΘΣ, 1 con 𐤉𐤅𐤄𐤅 e Θεός. Nel IV secolo e in poi la preponderanza dei manoscritti ora conosciuti nei quali manca qualsiasi forma del tetragramma è ancora maggiore. Predomina in essi l'uso della parola Κύριος (Kyrios), generalmente nella forma nomina sacra di κς, per rappresentare il nome divino.
Come si vede, finora non è stato rinvenuto della Septuaginta alcun manoscritto anteriore al II secolo che impieghi Κύριος per rappresentare il tetragramma del testo ebraico dell'Antico Testamento. Eugen J. Pentiuc considera l'uso di Κύριος come rappresentazione del tetragramma "un segno distintivo dei manoscritti cristiani della Septuaginta". E studiosi come Paul E. Kahle argomentano che la presenza del termine greco si deve ai primi cristiani, per i quali il tetragramma era incomprensibile. Si riconosce che vari scritti giudei degli ultimi secoli a.C. mostrano che già allora i giudei davano del Κύριος a Dio, fatto però che non riguarda direttamente l'uso di Κύριος nella Septuaginta in corrispondenza con il tetragramma. D'altra parte, studiosi come Sean M. McDonough considerano implausibile la supposizione che la composizione del Nuovo Testamento abbia preceduto l'uso di Κύριος nella Septuaginta, e Wurthwein e Fischer dichiarano: "Il tipico uso nella Septuaginta di Κύριος per il tetragramma deve essere riportato anche nell'epoca precristiana". Anche Martin Hengel afferma che, nonostante l'esistenza di una tendenza giudaica di rimpiazzare Κύριος con il tetragramma del testo ebraico, la Septuaginta in uso normale al tempo dell'inizio del cristianesimo conteneva il nome Κύριος, perché altrimenti non si può spiegare l'uso del nome Κύριος per il Dio di Israele da parte del giudaismo ellenistico, dei libri detti "apocrifi" o "deuterocanonici", e di Filone di Alessandria.
Sono diversi i pareri su come i traduttori originali della Septuaginta resero il tetragramma del testo ebraico dell'Antico Testamento.
Secondo Martin Rösel, Albert Pietersma, Lincoln H. Blumell, Larry Perkins, Ernst Wurthwein e Alexander Achilles Fischer, i testi originali della Septuaginta resero il Tetragramma già con Κύριος, vocabolo sostituito poi in alcuni manoscritti ebraizzanti con YHWH o ΙΑΩ. Mª Vª Spottorno y Díaz Caro non si pronuncia sul testo originale ma appoggia l'opinione che già nel III secolo a.C. i giudei ellenofoni usavano κύριος nel parlare di colui che in ebraico era chiamato יהוה e in aramaico יהו.
Patrick W. Skehan propose nel 1957 che nei testi originali della versione Septuaginta dei libri del Pentateuco il Tetragramma era rappresentato con il vocabolo ΙΑΩ, sostituito più tardi con il tetragramma in caratteri ebraici prima normali (יהוה) e poi arcaici (𐤉𐤅𐤄𐤅), e successivamente con Κύριος. Giunse ad una conclusione contraria nei riguardi dei libri profetici della Septuaginta. dichiarando nel 1980 che in essi il testo originale sembra avere contenuto il vocabolo Κύριος. Si attribuiscono simili teorie a Martin Hengel, Emanuel Tov, Eugene Ulrich, Rolf Furuli e Pavlos Vasileiadis\.[senza fonte]
Il parere invece di Frank Shaw è che nella Septuaginta originale non ci fu alcuna forma unica di traduzione del tetragramma ebraico: i singoli traduttori lo trattarono diversamente secondo le diversità di sentimenti, di teologie, di motivi, di pratiche di ognuno.[Nota 26]
Nel Nuovo Testamento appaiono come nomi propri di Dio solo Θεός (Dio) e Κύριος (il Signore). Il termine θεός appare 1317 o 1327 volte, non sempre come nome di Dio; κύριος 717 ο 727 volte, anche questo non sempre in riferimento a Dio. Inoltre si incontrano nomi descrittivi quali ὕψιστος (altissimo), παντοκράτωρ (onnipotente), πατήρ (padre), βασιλεὺς τῶν αἰώνων (re dei secoli), βασιλεὺς τῶν βασιλευόντων καὶ κύριος τῶν κυριευόντων (re dei regnanti e signore dei signori), δυνάστης (sovrano).
Al nome divino יהוה sottostanno etimologicamente i nomi teoforici di alcuni personaggi menzionati come Zaccaria ed Elia e lo stesso Gesù, come anche al nome divino אל sottostanno i nomi teoforici di personaggi come Elisabetta, Gabriele. Michele e Natanaele. Inoltre, l'espressione ἀλληλουϊά (alleluia), che si trova più volte nell'Apocalisse 19:1–6, è una traslitterazione dell'espressione ebraica הַלְּלוּיָהּ, che si traduce letteralmente: Lodate (הַלְּלוּ) Yah (יָהּ), forma abbreviata di יהוה. Ma il tetragramma stesso non appare mai, nemmeno in forma traslitterata, nel testo degli esistenti manoscritti del Nuovo Testamento, che nelle sue citazioni veterotestamentarie, sempre rende il tetragramma ebraico o con Κύριος (Kyrios) o (raramente) con Θεός (Theos).
Nel 1977, l'ebraista statunitense George Howard ipotizzò che, nel citare l'Antico Testamento, i testi autografi originali e le copie iniziali di quelle opere che più tardi sono state raccolte per formare il Nuovo Testamento contenevano il tetragramma in lettere ebraiche o traslitterato foneticamente come Ἰαώ (Iao). Ipotizzò pure che già nel primo secolo i copisti iniziarono a sostituire il tetragramma con i nomi Κύριος e Θεός, per cui nei primi anni del II secolo quasi tutte le copie esistenti non lo contenevano più.
Come base di questa sua ipotesi, Howard affermò che gli autori del Nuovo Testamento probabilmente avrebbero copiato le citazioni veterotestamentarie nella stessa forma in cui le trovavano nel testo della Septuaginta, la versione in lingua greca da essi conosciuta dell'Antico Testamento, versione che a parere di Howard conteneva non Κύριος ma il tetragramma.
Infatti, come indicato sopra, di manoscritti della Septuaginta dell'ultimo secolo a.C e del primo d.C. sono stati rinvenuti frammenti di uno con יהוה, di tre con 𐤉𐤅𐤄𐤅, e di uno con ΙΑΩ, ma di nessuno con Κύριος, che invece si trova in abbondanti manoscritti anche interi di epoche più recenti. Di antichi manoscritti del Nuovo Testamento, interi o frammentari, succede al contrario che non ne è stato trovato alcuno con qualsiasi forma del tetragramma.
Howard inoltre attribuì le variazioni fra Κύριος e Θεός, che si incontrano a volte nel testo greco del Nuovo Testamento e nelle versioni antiche in altre lingue (latino, siriaco), alle scelte personali di quei singoli copisti che secondo lui rimpiazzavano il tetragramma (𐤉𐤅𐤄𐤅 ,יהוה, ΙΑΩ) con tali termini.
Commentò inoltre che la sostituzione del tetragramma con Κύριος avrebbe reso incerta l'interpretazione di alcuni passi del Nuovo Testamento nei quali non è facile decidere se la parola κύριος indichi Dio Padre o il Cristo (il termine è applicabile anche ad altri) e starebbe alla radice di certe successive controversie cristologiche (p. 83).
Howard propose la sua ipotesi non come certezza ma come qualcosa che "è ragionevole credere", che "si può immaginare".
Fra gli studiosi la tesi di Howard suscitò reazioni generalmente negative. Robert J. Wilkinson osserva però che alcune posizioni settarie l'accolsero con un entusiasmo atto forse a far chiudere gli occhi al chiaro fatto che il tetragramma non si trova in alcuno degli esistenti manoscritti del Nuovo Testamento; atteggiamento da lui illustrato con l'affermazione nella Kingdom Interlinear Translation of the Christian Greek Scriptures dei Testimoni di Geova che "il tetragramma (Geova)" si trova 237 volte in "versioni ebraiche" del Nuovo Testamento, versioni però solo moderne con l'unica eccezione di una traduzione del Vangelo secondo Matteo fatta in Spagna nel XIII secolo, e nella quale invece del tetragramma appare in forma abbreviata l'espressione "Il Nome".
Come indicato sopra, gli studiosi non sono affatto unanimi nel supporre, come Howard, che tutte le copie della Septuaginta esistenti agli inizi del cristianesimo usavano o יהוה o 𐤉𐤅𐤄𐤅 o ΙΑΩ, per riferirsi al Dio di Israele, e che nessuna usava Κύριος.
Howard assegna un lasso di tempo molto breve all'uso del tetragramma negli scritti dei cristiani ellenofoni: secondo lui, il moltiplicarsi, a partire già del I secolo, di copie sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento con Κύριος nella forma κς deve avere soffocato, intorno all'inizio del II secolo, quelli che secondo lui avevano diverse forme del tetragramma.
Generalmente, le versioni del Nuovo Testamento in altre lingue traducono letteralmente la parola Κύριος. Fanno eccezione le traduzioni in ebraico. Come il Nuovo Testamento usa Κύριος nelle sue citazioni per rappresentare il tetragramma del testo ebraico, così per rappresentare la parola Κύριος del Nuovo Testamento i traduttori in ebraico impiegano il tetragramma. Normalmente lo presentano come יהוה, ma in una versione del Vangelo secondo Matteo fatta al più tardi nel 1380, l'espressione השם ("il Nome") appare 19 volte, nell'abbreviata forma ה״, dove in tale Vangelo in greco si legge o Κύριος o Θεός (1:22,24; 2:13,19; 3:3; 4:4,7,10; 5:33; 21:9,42; 22:31,32,37,44; 28:2) oppure nessuno di questi due termini (15:8; 21:12; 27:9) e appare inoltre una volta nella forma completa השם, dove nel Vangelo canonico di nuovo non si trova nessuno dei due (28:9).
Secondo la Catholic Encyclopedia (1910) e B.D. Eerdmans:
La Peshitta (una delle versioni siriache della Bibbia), probabilmente del II secolo,[Nota 30] per il tetragramma usa la parola "Signore" (ܡܳܪܝܳܐ, pronounciato moryo).
La Vulgata (traduzione latina) fatta dall'ebraico nel IV secolo, usa la parola "Signore" (dominus) al posto del tetragramma. La traduzione Vulgata, quindi, sebbene fatta non dalla Septuaginta ma dal testo ebraico, non dipartì dalla pratica applicata nei manoscritti Septuaginta successivi al I secolo di evitare la scrittura del tetragramma.
Pertanto, in gran parte della loro storia, le traduzioni cristiane delle Scritture hanno usato gli equivalenti greci e latini di Adonai per rappresentare il tetragramma. Solo agli inizi del XVI secolo compaiono traduzioni cristiane della Bibbia con la traslitterazione del tetragramma.[Nota 14]
Specialmente grazie alla Stele di Mesha, alla tradizione jahvista riscontrata in Esodo 3:15, e ai testi ebraici e greci antichi, la maggioranza dei biblisti sostengono che il tetragramma e gli altri nomi di Dio fossero usati dagli antichi Israeliti e dai loro vicini.
Dopo la distruzione del Tempio di Salomone, l'uso parlato del nome di Dio come stava scritto cessò tra la gente, sebbene la conoscenza della pronuncia venisse perpetuata nelle scuole rabbiniche. Filone di Alessandria lo chiama "ineffabile", e dice che è permesso solo a coloro le cui orecchie e lingue sono purificate dalla saggezza di pronunciarlo in un luogo santo (cioè, ai sacerdoti nel Tempio). In un altro passo, commentando Levitico 24:15-16: "Se qualcuno, non dico che bestemmi contro il Signore degli uomini, ma che soltanto osi pronunciare il Suo nome inopportunamente, che si aspetti la pena di morte."
Fonti rabbiniche asseriscono che il nome di Dio fosse pronunciato solo una volta all'anno, dal Sommo Sacerdote, nel Giorno dell'Espiazione.[Nota 31] Altri, incluso Maimonide, affermano che il nome fosse pronunciato quotidianamente nella liturgia ebraica del Tempio, durante la benedizione sacerdotale dei fedeli (Numeri 6:27), dopo il sacrificio del giorno; nella sinagoghe tuttavia veniva usato un nome sostitutivo (probabilmente "Adonai"). Secondo il Talmud, nelle ultime generazioni prima della distruzione del Tempio e la caduta di Gerusalemme il nome era pronunciato a bassa voce cosicché il relativo suono veniva disperso nell'inno cantato dai sacerdoti. La tradizione ebraica vuole che ciò avvenisse all'Interno del Kodesh HaKodashim, il Sancta sanctorum del Tempio di Gerusalemme: il Sommo Sacerdote dimenticava la pronuncia del tetragramma immediatamente dopo averla "effettuata". Il secondo e ultimo momento in cui il Sommo Sacerdote poteva pronunciare il tetragramma avveniva per due volte con la Benedizione sacerdotale sul popolo d'Israele:
« Il Signore parlò a Mosè dicendo: «Parla ad Aronne ed ai suoi figli e di' loro così: "In questo modo benedirete i figli di Israel, dicendo loro: Ti benedica il Signore (יהוה) e ti custodisca. Faccia il Signore risplendere il Suo Volto su di te e ti conceda grazia. Rivolga il Signore il Suo Volto verso di te e ti dia pace". Essi porranno il Mio Nome (יהוה) sui figli di Israele ed Io li benedirò» » (Numeri 6:22-27) |
Secondo l'Ebraismo, qualsiasi materiale con su scritto o inciso il tetragramma, tanto più se scritto da uno scriba in stato di purità su fogli di pergamena, non può essere gettato via e deve essere custodito in un contenitore apposito chiamato Ghenizah oppure sotterrato in un terreno riservato specificatamente a questo scopo. Oggigiorno gli ebrei sono soliti inoltre non pronunciarlo ad alta voce in nessuna occasione e per nessuna ragione. Per discutere l'argomento della vocalizzazione del nome, solo per motivi scientifici, e mai in conversazioni futili o in preghiera, si preferisce scrivere le vocali a cui ci si riferisce e lasciare alla mente dell'ascoltatore la ricostruzione del nome vocalizzato. Come già si è detto, invece di pronunciare il tetragramma durante le preghiere, gli ebrei dicono "Adonai".[Nota 32]
È probabile che la proibizione della pronuncia del tetragramma risalga all'epoca di Esdra e Neemia, ossia al ritorno dall'esilio babilonese, quando fu riaperto il Tempio di Gerusalemme e furono fissati molti dei canoni della liturgia. Alcuni spostano l'effettivo disuso della pronuncia del tetragramma a un periodo successivo, dal III secolo p.e.v. fino al III secolo e.v.. Qualunque sia la data di disuso, nel mondo ebraico la proibizione della sua pronuncia è certa ed è stata costante fino a oggi, tuttavia alcuni mistici erano soliti contemplare, con l'uso di cori o più spesso in completo isolamento, le singole lettere che lo compongono.. A ogni modo, a partire dalla distruzione del Secondo Tempio nel 70, il tetragramma non è più pronunciato nella liturgia ebraica. La pronuncia comunque era ancora conosciuta a Babilonia, nella seconda metà del IV secolo.
La veemenza con cui viene denunciata nella Mishnah la pronuncia del nome fa supporre che l'uso di "Yahweh" fosse inammissibile nell'ebraismo rabbinico. "Colui che pronuncia il Nome con le sue proprie lettere non avrà posto nel mondo a venire!" La pronuncia del Nome come è scritto è così proibita che a volte il Nome viene chiamato "Ineffabile", "Inesprimibile" o "Nome Distintivo".[Nota 33]
La Halakha (Legge ebraica) prescrive che dove il Nome è scritto yod-hei-vav-hei, deve essere pronunciato soltanto "Adonai"; e anche quest'ultimo nome viene considerato nome santo e deve essere pronunciato solo in preghiera.[Nota 34][Nota 35] Pertanto quando qualcuno vuole riferirsi in terza persona al Nome come è scritto o pronunciato, si usa il termine "HaShem" ("il Nome");[Nota 36] e questo sistema può essere usato anche nelle preghiere.[Nota 37] I Masoreti aggiungevano punti vocalici (niqqud) e i segni di cantillazione ai manoscritti, per indicare l'uso delle vocali e per cantare le letture delle Bibbia nelle funzioni in sinagoga. A יהוה aggiunsero le vocali di "Adonai" ("Mio Signore"), parola da usarsi quando veniva letto il testo. Mentre "HaShem"è il modo più comune per far riferimento al "Nome", i termini "HaMaqom" (lett. "Il Luogo" cioè "L'Onnipresente") e "Raḥmana" (Aramaico, "Misericordioso") sono usati nella Mishnah e Ghemara, tuttora utilizzati nelle frasi "HaMaqom y'naḥem ethḥem" ("possa L'Onnipresente consolarti"), frase tradizionale per il lutto durante la Shiva e "Raḥmana l'tzlan" ("possa il Misericordioso salvarci", cioè "Dio non voglia").
Il tetragramma scritto,[Nota 38] e anche altri sei nomi di Dio, devono essere trattati con santità speciale. Non possono essere gettati via in maniera ordinaria, affinché non vengano profanati, ma sono usualmente messi in conservazione a lungo termine o sepolti nei cimiteri ebraici quando non più in uso.[Nota 39] Similmente, è vietato scrivere il tetragramma (o questi altri nomi) senza motivo. Per poter salvaguardare la santità del Nome a volte una lettera viene sostituita da una lettera diversa nello scriverlo (per es. יקוק), o le lettere sono separate da uno o più trattini. Alcuni ebrei sono molto rigorosi ed estendono tale salvaguardia non scrivendo altri nomi di Dio in altre lingue, per esempio in inglese scrivendo "G-d" invece di "God", o in italiano "D-o" invece di "Dio", e così via. Tuttavia questo sistema esula dalle normative della Halakhah (Legge ebraica).
I Samaritani condividevano cogli ebrei il tabù sulla pronuncia del Nome, e non esiste prova che la sua pronuncia fosse una pratica samaritana comune.[Nota 40] Tuttavia Sanhedrin 10:1 include il commento di Rabbi Mana (degli Amoraim): "per esempio quei Kutim che fanno giuramento" non avranno un posto nel Mondo a venire, il che implica che Mana credeva che alcuni Samaritani usassero il nome quando facevano giuramenti (i loro sacerdoti hanno conservato la pronuncia liturgica "Yahwe" o "Yahwa" a tutt'oggi.) Come per gli ebrei, l'aramaico ha-Shema (השמא "il Nome") rimane d'uso comune tra i Samaritani, simile a "il Nome" in ebraico השם? ("HaShem").
Si presume che i primi cristiani ebrei avessero ereditato dagli ebrei la pratica di leggere "Signore" dove il tetragramma appariva nel testo ebraico, o dove il tetragramma veniva evidenziato in un dato testo greco. I cristiani gentili, soprattutto coloro che non parlavano ebraico e usavano i testi in greco, leggevano "Signore" in quei punti dove appariva nel testo greco del Nuovo Testamento e altre copie dell'Antico Testamento greco. Questa pratica continuò fino all'arrivo della Vulgata in latino, in cui "Signore/Dominus" rappresentava "Yahweh" nel testo latino. Nel diagramma del Tetragramma-Trinitàcfr. supra di Pietro Alfonsi, il nome è scritto "Jeve." È rimasta come testimonianza la forma litanica "Kyrie eleison" a ricordo della tradizionale liturgia greca che era in uso anche nella chiesa latina. Come esempio di uso, nelle collette e nelle preghiere della liturgia cattolica, ci si rivolge a Dio con gli epiteti "Dio onnipotente ed eterno" oppure "Dio, padre onnipotente" o simili. L'unica volta in cui si utilizza un termine ebraico (non il tetragramma) è, una volta all'anno, in una delle sette antifone maggiori dell'Avvento "O Adonai" (nel testo latino - nel testo liturgico italiano è reso con "O Signore"). Durante la Riforma, la Bibbia di Lutero usava "Jehova" nel testo tedesco dell'Antico Testamento di Martin Lutero.[Nota 41]
Le traduzioni moderne in cui è presente (perlopiù in nota) una vocalizzazione del tetragramma, sono opera di eruditi senza che abbiano un utilizzo al di fuori della cerchia della critica biblica, e servono soprattutto per evidenziare le stratificazioni e la formazione del testo (ad esempio le cosiddette tradizioni Jahvista, Elohista, Sacerdotale, ecc). Recentemente, in ambito cattolico, con la motivazione di riaffermare la disciplina sia ebraica sia delle prime comunità cristiane secondo la quale «Non si deve pronunciare il nome di Dio sotto la forma del tetragramma YHVH nelle celebrazioni liturgiche, nei canti, nelle preghiere», e anche nelle traduzioni della Bibbia il nome di Dio deve essere reso con Adonai, Kyrios, Signore, ecc.
Come già menzionato, la Septuaginta (traduzione greca), la Vulgata (traduzione latina), e la Peshitta (traduzione siriaca) usano la parola "Signore" (κύριος, kyrios, dominus, e ܡܳܪܝܳܐ, moryo rispettivamente). L'uso della Septuaginta (=LXX) da parte dei cristiani in polemica con gli ebrei fece sì che questi ultimi l'abbandonassero, rendendola un testo specificamente cristiano. Dalla Septuaginta i cristiani redassero traduzioni in copto, arabo, lingua slava ecclesiastica e altre lingue utilizzate dalle Chiese ortodosse orientali e dalla Chiesa ortodossa, le cui liturgie e dichiarazioni dottrinali sono in gran parte un centone di testi dalla Septuaginta, che considerano essere ispirata almeno tanto quanto il Testo Masoretico. Nell'ambito della Chiesa ortodossa orientale, il testo greco rimane la norma per i testi in tutte le lingue, con particolare riferimento alle composizioni usate nelle preghiere.
La Septuaginta, col suo uso di Κύριος per rappresentare il tetragramma, fu anche la base delle traduzioni cristiane associate all'Occidente, in particolare la Vetus latina, che sopravvive in alcune parti della liturgia della Chiesa latina, e la Bibbia gotica. Le traduzioni cristiane della Bibbia in inglese normalmente usano "LORD" al posto del tetragramma nella maggioranza dei casi, spesso in maiuscoletto (o tutto in maiuscolo), così da distinguerlo da altre parole tradotte con "Lord". Nelle Bibbie (Antico Testamento) protestanti solitamente il tetragramma viene reso con Signore o con "Eterno". In nota o raramente nel testo compare sempre più la forma Jahvé. La Riveduta Luzzi, la Nuova Diodati e la King James Version in Genesi 22:14 riportano il nome di località Jehovah-jireh, la cui radice deriva dal tetragramma, ma altre Bibbie protestanti traducono diversamente.
La Chiesa ortodossa considera il testo della Septuaginta, che usa Κύριος (Signore), come il testo più autorevole dell'Antico Testamento, e nei suoi libri liturgici e di preghiera usa Κύριος al posto del tetragramma nei testi che derivano dalla Bibbia
Nella Chiesa cattolica, la prima edizione ufficiale vaticana della Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio, editio typica, pubblicata nel 1979, usava il tradizionale Dominus al posto del tetragramma nella stragrande maggioranza dei casi; tuttavia, usava anche la forma Iahveh per riportare il tetragramma in tre punti specifici:
Nella seconda edizione della Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio, editio typica altera, pubblicata nel 1986, queste poche presenze della forma Iahveh furono sostituite da Dominus, per conservare la lunga tradizione cattolica di evitare l'uso del "Nome Ineffabile" (secondo la definizione dei Padri della Chiesa).
Il 29 giugno 2008, la Santa Sede reagì alla pratica allora ancora recente di pronunciare, durante la liturgia cattolica, il nome di Dio rappresentato dal tetragramma. Quali esempi di tale vocalizzazione, citava "Yahweh" e "Yehovah". I primi cristiani, affermava, seguivano l'esempio della Septuaginta nel rimpiazzare il nome di Dio con "il Signore", pratica con importanti implicazioni teologiche per l'uso de "il Signore" nel riferirsi a Gesù, come in Filippesi 2:9-11 e altri testi del Nuovo Testamento. Promulgava quindi che, "nelle celebrazioni liturgiche, negli inni e preghiere il nome di Dio nella forma del tetragramma YHWH non deve essere usato né pronunciato"; e che le traduzioni dei testi biblici per uso liturgico devono seguire la pratica della Septuaginta greca e della Vulgata latina, sostituendo il nome divino con "il Signore" o, in alcuni contesti, "Dio". Questo il testo della direttiva della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti in italiano:
«La traduzione greca dell'Antico Testamento, la cosiddetta Septuaginta, che risale agli ultimi secoli precedenti l'era cristiana, ha reso regolarmente il tetragramma ebraico con la parola greca Kyrios, che significa Signore. Siccome il testo della Septuaginta ha costituito la Bibbia della prima generazione di cristiani di lingua greca, e in questa lingua furono anche scritti tutti i libri del Nuovo Testamento, anche questi cristiani sin dal principio evitarono la pronuncia del tetragramma sacro. Qualcosa di simile avvenne con i cristiani di lingua latina, la cui letteratura cominciò ad emergere a partire dal secondo secolo, come attestano prima la Vetus Latina e, in seguito, la Vulgata di san Girolamo. Anche in queste traduzioni il tetragramma venne sempre reso con la parola latina Dominus, che corrispondere sia all'ebraico Adonai e al greco Kyrios (....) Pertanto astenersi dalla pronuncia del tetragramma del nome di Dio da parte della chiesa è giustificato. Oltre ai motivi di correttezza filologica si tratta anche di rimanere fedeli alla tradizione della chiesa poiché fin dalle origini il tetragramma sacro non è mai stato pronunciato in un contesto cristiano e neppure mai tradotto in nessuna delle lingue in cui la Bibbia è stata tradotta.»
La "United States Conference of Catholic Bishops (Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti)" ha elogiato queste istruzioni, aggiungendo che "fornisce anche un'opportunità di offrire la catechesi ai fedeli come incoraggiamento a dimostrare riverenza per il Nome di Dio nella vita quotidiana, enfatizzando la potenza del linguaggio come atto di devozione e adorazione".
A ogni modo, quando si tratta di vocalizzare il Nome Divino in ambito accademico, si propende da più di due secoli per una vocalizzazione del tetragramma con le vocali "a" ed "e", e talvolta questa forma può apparire, oltre che nei testi di critica biblica, anche nelle note e nelle introduzioni o, più raramente (una o due volte) nel testo dell'Antico Testamento, quando si tratta di evitare ambiguità per la presenza vicina di altri nomi divini. È presente più spesso in alcune versioni letterali degli anni sessanta a indirizzo storico critico, allo scopo di evidenziare le diverse tradizioni presenti nella formazione del testo. In traduzioni degli ultimi anni è citato il tetragramma in caratteri latini (JHWH) senza alcuna vocalizzazione. Non compare mai nel Nuovo Testamento non essendo presente in nessuno dei manoscritti antichi da cui vengono fatte le traduzioni.
In Italia i Testimoni di Geova hanno adottato nella loro traduzione la forma del tetragramma biblico "Geova" derivata dalla forma in inglese "Jehovah" adoperata nel 1903 nel libro di Charles Taze Russell, "Il divin piano dell'Età", e da essi ufficializzata il 26 luglio del 1931, quando hanno assunto l'attuale denominazione.
Essi non considerano sicuramente corretta la loro scelta della vocalizzazione Geova/Jehovah, in passato la più diffusa in inglese. Infatti dalla metà del XIX secolo fino ai primi decenni del XX secolo tutte le nuove versioni inglesi della Bibbia traducevano il tetragramma biblico con "Jehovah"; però a partire dal 1939, e cioè poco dopo l'assunzione dell'attuale denominazione dei Testimoni di Geova, predomina nelle versioni inglesi della Bibbia o la prassi più antiqua di usare (fuori di pochissimi passi) "Lord" o quella di usare "Yahweh". Ci tengono inoltre a ricordare che in italiano "Gesù" deriva dall'aramaico יֵשׁוּעַ (Yeshua'), come in Libro di Esdra 5,2, che a sua volta proviene dall'ebraico יֵשׁוּעַ (Yeshua') e ulteriormente dall'ebraico יְהוֹשֻׁעַ (Yehoshuaʿ), che significa "יהוה è salvezza" e che da essi è interpretato come indicazione della pronuncia originale di יהוה. I nomi teofori inizianti per Yeho- possono tuttavia spiegarsi anche senza postulare un'originaria forma ricostruita Yehowah: l'evoluzione del timbro in "yeh-" rispetto a "yah-" si comprende bene infatti con una regolare riduzione di vocale in sillaba atona.[Nota 42]
Il 16 gennaio 2006, in visita a papa Benedetto XVI, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha sollevato il problema del fastidio che provoca fra gli ebrei l'uso del nome divino fra i cristiani, a causa della particolare sensibilità ebraica dovuta al divieto di pronunciare il nome di Dio nei dieci comandamenti. Il Papa ha risposto che la tradizione cattolica, a differenza di quella protestante, è arrivata a questa facilità di espressione molto recentemente, per influsso dello storicismo, e che i cattolici devono lavorare perché si torni all'origine del culto.
Lo scrittore ateo Erri De Luca propone e utilizza, nei suoi libri, la formula Iod, prima lettera del Nome Sacro, e anagramma della parola Dio, gioco possibile solo in italiano.
Nella Terza Stagione (2018), nell'episodio "Jahr Null", al minuto 30:32, Hawthorne Abendsen, rinchiuso in cella, comincia a delirare citando poesie, canzonette ed infine un brano del Salmo 91:9 dove diceva "Geova è il mio rifugio".[senza fonte]
«La pronuncia originale di YHVH viene generalmente ricostruita come “Yahveh” o “Yahweh,” sulla base di trascrizioni greche antiche.»
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