Triossido di selenio

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Triossido di selenio
Struttura Lewis del triossido di selenio
Struttura Lewis del triossido di selenio
Struttura 3D a sfere-stecche del triossido di silicio
Struttura 3D a sfere-stecche del triossido di silicio
Struttura 3D van der Waals del triossido di silicio
Struttura 3D van der Waals del triossido di silicio
Nome IUPAC
triossido di selenio
Nomi alternativi
anidride selenica, ossido di selenio(VI)
Caratteristiche generali
Formula bruta o molecolareSeO3
Massa molecolare (u)126,96
Aspettosolido bianco cristallino igroscopico
Numero CAS13768-86-0 Immagine_3D.
Numero EINECS237-385-1
PubChem115128
SMILES
O=(=O)=O
Proprietà chimico-fisiche
Densità (g/cm3, in c.s.)3,44
Temperatura di fusione118 °C (391 K)
Temperatura di ebollizione165 °C (438 K) (decomposizione)
Indicazioni di sicurezza
Frasi H---
Consigli P---

Il triossido di selenio o ossido di selenio(VI) (chiamato anche "anidride selenica" in testi meno recenti, in analogia ad anidride solforica) è l'ossido del selenio esavalente avente formula molecolare SeO3, in fase gassosa, e Se4O12 in fase solida. Si tratta di un solido bianco igroscopico e molto avido di acqua con la quale reagisce vigorosamente dando l'acido corrispondente, l'acido selenico H2SeO4. In questo comportamento, e nella sua chimica in genere, SeO3 somiglia molto più a SO3, che al suo omologo superiore TeO3, il quale è un solido non molecolare, la cui formula è pertanto solo una formula bruta.

Proprietà e struttura

L'anidride selenica è un composto termodinamicamente stabile (ΔHƒ° = -184 kJ/mol), sebbene parecchio meno dell'anidride solforica (-396 kJ/mol). A differenza di quest'ultima, è però termodinamicamente instabile rispetto alla decomposizione nel biossido SeO2. Tuttavia, a temperatura ambiente è cineticamente stabile: la decomposizione inizia soltanto sopra, a circa 160 °C (ΔHr° = −46 kJ/mol):

2 SeO3 → 2 SeO2 + O2

Questo comportamento si inquadra nella tendenza all'instabilità della valenza massima che si nota negli ultimi elementi del 4° periodo, tendenza che il selenio condivide, in particolare, con i suoi vicini a sinistra e a destra, cioè con l'arsenico e specialmente con il bromo. Tale instabilità si manifesta anche nell'acido corrispondente H2SeO4 e nei suoi sali, i selenati, e tutti quanti questi composti sono ossidanti piuttosto forti, E°(SeO42– / SeO32–) = +1,15 V in ambiente acido; per confronto, questo valore è un po' superiore a quello della coppia Br2 / Br (+1,09 V), ma inferiore a quello della coppia Cl2 / Cl (+1,395 V).

Allo stato solido questo ossido è formato da molecole discrete Se4O12, o (SeO3)4, ossia il tetramero ciclico di SeO3, che è un ciclo a 8 termini composto da 4 unità −O−Se(=O)2–; in esso il selenio è tetracoordinato e tetraedrico (Se sp3); questa forma somiglia da vicino alla forma γ-SO3 dell'anidride solforica allo stato solido, composta di molecole discrete S3O9, cioè il trimero (SO3)3.

Il solido sublima a 100 °C e 40 mbar e queste molecole, nel passaggio in fase vapore, si dissociano parzialmente in monomeri SeO3, in cui il selenio è tricoordinato e la molecola è planare (Se sp2), con simmetria D3h.

Parametri strutturali

In questa molecola il legame Se=O è lungo 168,78 pm; per confronto, il legame S=O in SO3 èdi 141,75 pm; la lunghezza maggiore nel caso del selenio è solo in parte giustificata dal fatto che il raggio covalente di Se (120 pm) è maggiore di quello di S (115 pm). Nel solido, invece, le lunghezze dei legami Se–O nel ciclo sono di 175 pm e 181 pm, mentre quelle dei legami Se=O esociclici sono di 154 pm e 156 pm.

Preparazione

SeO3 è uno di quegli ossidi che non si possono preparare per interazione diretta dell'elemento con l'ossigeno molecolare: la reazione di O2 con il selenio porta, in pratica, solo fino al biossido SeO2; questo fatto è un'altra manifestazione della citata riluttanza del selenio ad assumere la massima valenza, e quindi del potere ossidante del selenio esavalente.

Può essere preparato per distillazione a 150-160 °C dell'acido selenico su anidride fosforica la quale, come disidratante, è ancora più avida di acqua; tuttavia, la reazione è lenta.

Può essere più facilmente preparato per azione dell'anidride solforica su un selenato alcalino:

K2SeO4 + SO3 → SeO3 + K2SO4

Reattività

Come l'anidride solforica SO3, anche l'anidride selenica SeO3 è avidissima di acqua, e si comporta anch'essa da acido di Lewis. Il primo esempio è già la citata somma di H2O (la base di Lewis) a dare prima l'addotto H2O · SeO3, che poi si riarrangia immediatamente a H2SeO4.

In analogia con SO3, anche SeO3 si scioglie nel suo acido H2SeO4 per dare l'acido piroselenico (diselenico) H2Se2O7 (e anche acidi poliselenici, con SeO3 in maggior quantità), e questo è isostrutturale e isoelettronico di valenza all'acido pirosolforico H2S2O7.

Come la reazione con l'acqua, SeO3 fa una reazione analoga con l'acido fluoridrico liquido, dove si scioglie dando una soluzione limpida, formando l'acido fluoroselenico HSeO3F, del tutto simile all'acido fluorosolforico HSO3F:

SeO3 + HF → HSeO3F

L'analoga reazione con acido cloridrico, anche se condotta a bassa temperatura (fino a -30 °C), si risolve invece in un'ossidazione del cloro e conseguente riduzione del Se per dare acido selenioso e questo costituisce ancora un esempio in cui si manifesta il potere ossidante di Se(VI):

SeO3 + 2 HCl → H2SeO3 + Cl2

SeO3 reagisce con l'acido fluorosolforico per dare l'analogo acido fluoroselenico e anidride solforica:

SeO3 + HSO3F → HSeO3F + SO3

Più classicamente, SeO3 dà addotti con basi di Lewis come piridina e ammine terziarie in genere, ma anche con diossano ed altri eteri; con il dimetil etere forma l'addotto con due molecole: (Me2O)2 · SeO3.

Con ioni ossido provenienti dagli ossidi di metalli alcalini, ne somma una mole e dà direttamente i corrispondenti selenati salini, ad esempio quello di litio:

Li2O + SeO3 → Li2SeO4

A differenza dell'anidride solforica, con un eccesso di ossido metallico reagisce sommandone 2 moli:

2 Li2O + SeO3 → Li4SeO5

in questo caso il selenio espande il numero di coordinazione da 4 a 5, con una struttura a bipiramide trigonale per lo ione SeO52– ed è una manifestazione della tendenza all'aumento del numero di coordinazione che si ha scendendo lungo un gruppo (qui, S < Se < Te). L'analoga reazione con l'ossido di sodio porta invece a Na4SeO5, dove il selenio è ugualmente pentacoordinato, ma qui la struttura dello ione SeO52– è una piramide a base quadrata.

Questo è uno dei diversi casi in cui si manifesta la quasi parità energetica tra la bipiramide trigonale e la piramide a base quadrata, due geometrie di pentacoordinazione in competizione e facilmente intercambiabili.

Come con gli ossidi metallici, SeO3 reagisce anche con i loro fluoruri in soluzione di SO2 liquida (-25 °C) dando i fluoroselenati corrispondenti; con i fluoruri dei metalli alcalini (M = Li, Na, K, Rb, Cs) la reazione è:

MF + SeO3 → MSeO3F

Questi fluoroselenati non risultano essere isostrutturali con i corrispondenti fluorosolfati, sono meno stabili termicamente e, inoltre, in acqua si decompongono.

SeO3 reagisce con il tetrafluoruro di selenio fornendo il fluoruro di selenoile, analogo al fluoruro di solforile SO2F2, e biossido di selenio:

2 SeO3 + SeF4 → 2 SeO2F2 + SeO2

Note

  1. ^ Scheda del composto su IFA-GESTIS (archiviato dall'url originale il 16 ottobre 2019).
  2. ^ Stefano Masiero, Glossario di Chimica, Alpha Test, 2010.
  3. ^ DIZIONARIO ITALIANO OLIVETTI, su dizionario-italiano.it. URL consultato il 12 agosto 2022.
  4. ^ Erwin Riedel e Christoph Janiak, Anorganische Chemie, collana De Gruyter Studium, 10. Auflage, De Gruyter, 2022, p. 491, ISBN 978-3-11-069604-2.
  5. ^ a b Nils Wiberg, Egon Wiberg, Arnold Frederick Holleman (2001) Inorganic Chemistry, Elsevier ISBN 0123526515
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  8. ^ a b N. N. Greenwood e A. Earnshaw, Chemistry of the Elements, 2ª ed., Butterworth-Heinemann, 1997, pp.  780.-781, ISBN 0-7506-3365-4.
  9. ^ Cioè, quella valenza che coinvolge l'impiego nei legami della coppia elettronica 4s2.
  10. ^ a b J. E. Huheey, E. A. Keiter e R. L. Keiter, Chimica Inorganica, Principi Strutture Reattività, Piccin, 1999, p. 912, ISBN 88-299-1470-3.
  11. ^ N. N. Greenwood e A. Earnshaw, Chemistry of the Elements, 2ª ed., Butterworth-Heinemann, 1997, p.  804., ISBN 0-7506-3365-4.
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Bibliografia

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